AL DIO DI AGAR
Marco Rovelli
Era la schiava di Sara, moglie di Abramo. Fu costretta ad accoppiarsi col vecchio Abramo perché questi avesse una discendenza. Rimase incinta. E Agar legiziana seguì lumano istinto di rivalsa sulla padrona. Cominciò a guardarla con disprezzo. Allora, con il permesso di Abramo, Sara trattò Agar con durezza di padrona. E Agar fuggì nel deserto, e nel deserto si perse.
Un angelo la trovò presso una sorgente dacqua. Agar udì la sua voce. Langelo conosceva il suo nome, e le domandò il senso del suo tragitto. Torna dalla tua padrona, le disse. Poi le mostrò la sua discendenza, che sarebbe stata smisurata moltitudine.
Ismaele, Dio ascolta, sarebbe stato il nome della creatura che aveva in grembo. Egli era il segno che Dio aveva ascoltato la sua afflizione. Langelo soggiunse: "Egli sarà tra gli uomini come un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di lui; e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli".
Agar non pianse per le future afflizioni profetizzate, ma piena di gratitudine gioì per i segni che Dio le aveva mandato. E dopo aver visto le spalle di chi le era apparso, così si rivolse allEterno che le aveva parlato attraverso il suo messaggero: Atta-El-Roi, Tu sei il Dio della Visione.
Del sottile confine.
1.
Sono gli occhi a paralizzarmi la lingua, e incenerire sul nascere le sue parole. Una linea di fuoco sta come ponte gettato tra gli occhi e il mondo, solca lo spazio davanti, lo incendia, e in questo calore sta allogato il silenzio. Occorre farsi salamandra per per mostrare il silenzio che sta dentro ogni parola.
2.
Luomo che per primo inventò la scrittura lo fece per il desiderio di riprodurre la trama del velo infuocato che si stende davanti agli occhi, nel sogno di squarciarlo, e così intravedere il punto silenzioso dove sirraggia lo sguardo, dove lo sguardo è puro, senza oggetto.
3.
Occorre fare come larciere, che punta verso il sole per centrare il bersaglio. Immaginare che quel fuoco spesso e impenetrabile si apra, sia pure per un attimo, come le acque del Mar Rosso, lasciando vedere la Terra Promessa. Immaginare che gli occhi si facciano sempre più sottili, e si arrovescino, ed escano dalle orbite, e come punto di fuga ununica, grande pupilla, con la quale unirsi per essere uno sguardo che sia ad un tempo il più profondo e il più superficiale, uno sguardo che veda tutto, e nulla ricordi né speri.
4.
Siamo pesci ciechi che nuotano in un mare di luce, tutta la vita a far fronte a violenti fantasmi di squalo, sopra uno scuotimento leggero di alghe, mossi da onde senza forma, e non vediamo il fondo, ed è su questo fondo assente che anneghiamo, in un soffocamento che non ha fine, in uninvocazione senza dio, lanciando grida che vorrebbero essere mute. Ma noi, qui, adesso, possiamo danzare, insieme ad altri pesci che ci nuotano attorno, ruotando le pinne come un ottovolante, un ottovolante sul fondo del mare, e nessuno comanda i nostri movimenti, ché siamo noi stessi la forza motrice delle onde che ci sovrastano, e se queste onde sono di infiniti colori, e il mare è un arcobaleno, tutto questo dipende da noi, dalla nostra caparbietà dassoluto, dalla nostra volontà di ridere, di danzare, di farci flutto in ogni mare. E così, soffocando e facendoci flutto, che diveniamo la direzione stessa del mare.
6.
E un grande buco nello stomaco, come non mangiare da giorni e avere una fame spaventosa tale che metteresti sotto i denti pane secco, formaggio ammuffito, cibo per cani, e celebreresti e ringrazieresti. Giri con questo buco nello stomaco, con questa fame sterminata che ti si è insediata dentro e grida che non ti lascerà più, tu vorresti essere in una casa silenziosa, satollo e ruttante, ma sei costretto a vagare in cerca di un cibo che non ti sazierà mai.
Ebbene, non per questo si è dannati. Tuttaltro. E di lì anzi che passa il tapis roulant della salvezza. Occorre porsi al centro di questo buco, e non pensare a mangiare, solo stare in questa mancanza spropositata. Farsi succo gastrico - e un succo gastrico non ha fame. Divenire il proprio stesso stomaco affamato, e combaciare con esso, e stupirsi e celebrare quando calano giù dallesofago bocconi di cielo, nutrienti pani senza lievito da gustare nella perfetta solitudine per riconsegnarli alla confusione assoluta delluniverso.
Allora, nutrito da un miracolo, vedi leternità dellistante, la tua morte, e il cuore ti scoppia di gioia, ché tutto intorno è pane, e lievito.
7.
Scomparve nel bianco delle pagine di un libro non stampato, per farsi pietra del deserto, obelisco, frammento di cometa perso nello spazio, e fu allora che diede vita alla sua danza più bella.
8.
Liberare le parole che ancora ronzano attorno come proiettili, e sganciarsi dalla grevità delle memorie che trascinano in basso e trasportano nel cuore dellinferno, dove le fiamme del passato gelano il sangue e fanno di pietra. Farsi granello di polvere per entrare in quel puntino di luce che di tanto in tanto sfarfalla davanti agli occhi, là dove la vista annebbiata confonde una rosa bagnata e un rasoio tagliente, il cielo vuoto e un vertiginoso ansimare di cane stremato, un bosco di bianche betulle e luragano più tremendo, il volto immacolato della Vergine e le frustate inflitte al corpo di suo figlio. Là non esiste testa, ma solo membra luminose di quelli che un tempo erano corpi, i corpi dei cadaveri che nutrono la terra, linfa vitale, prima energia doblio, e quelle membra compongono miriadi di meravigliose figure, costellazioni sempre diverse in perenne divenire, e quelle immagini si confondono, trapassano luna nellaltra fino a sparire, e così sarà per sempre, sistole e diastole nelleterna eternità.
9.
In questo interminato mutamento, unico punto di fuga è un punto cieco. Là si diviene solo occhi., fiori di fuoco in una massa scrosciante come diluvio e incandescente come lava che ci avvolge completamente, una massa liquida che ci innalza come soffioni boraciferi, immenso concentrato di energia verticale, e ci scaraventa nella cavità ricolma di luce dei nostri angeli custodi, là dovè la purità assoluta che sopporta ogni sozzura, e allora ci scopriamo scarafaggi, insetti schifosi e sporchi che possono vedere colori che gli umani non vedono, e quegli angeli che volano in cerchi trasparenti senza mai fermarsi un istante ci rivomitano fuori, e della nostra polvere ricoprono il mondo, che cresce e si riproduce ed è sempre più bello, un bellissimo nulla, grazie al nostro sacrificio, al nostro infilarci in ogni cavità, che si fa specchio della nostra. Nel momento finale di questo riconoscimento, che si fa beffe di ogni ragione, si annullerà ogni differenza tra noi e quegli angeli danzanti. E finalmente, fatta tacere ogni parola, dopo averle usate tutte, sarà possibile combaciare con questo mutamento interminato.
10.
In questo sole si vede tutto più nitidamente, e tutto appare vero. Gli occhi danzano, e le parole tentano di stargli dietro. Certo non può essere una volizione, la danza, ché troppi hanno le ali tagliate e non possono più danzare. Guardati intorno, e osserva bene quanti hanno al posto delle ali due grosse gomene infradiciate e ammuffite, mitili a impreziosire questi cordoni ombelicali che tengono legati a terra, a un porto sicuro che si chiama Lavoro, Famiglia, Amore, Patria, Dio, e mille, milioni di altri nomi che designano un delirio personale, un vaneggiamento che ci si ostina a pensare realtà. E quando lo si prende per realtà che quel delirio prende a crescere, sfugge dal controllo, e sommerge lio che rimane frantumato dal suo peso, delle ali ormai nemmeno più il ricordo.
11.
Tu combatti per questo, per uccidere i deliri come larcangelo il drago. Opera perché ogni essere umano si ricordi delle sue ali. Dai da mangiare agli affamati.
12.
Dimentica tutto, tranne le tue visioni.
Legual vita diversa che urge intorno...
Nel respiro ultimo del giorno
dove tutto riluce e saffoca
si è affilato il suono
che dissipa
con sommessa cantilena
il sovrappiù che non conosce pena
ed è preghiera:
Quello sei tu,
ripete la parola,
come fuoco
che avvampa nella gola.
Assolato giorno di ultima cena,
rimani, domani, rimani,
non fare che il cielo si oscuri
(trafitto di chiodi, confitto
da spine),
rimani
nel gesto sublime
di prodiga luce
...
Sublime, rispondi
in un solo silenzio
che tutto contiene e nulla
vuol dire,
è lasciarsi,
morire
...
Dolcissimo fragore di attese
su una terra tesa di colori e richiami
tra querce e castagni
e poche rose
che inondano odorose il corpo
di luce
soffiando vento
con la fine prossima nel grembo.
E qui che attendi il tempo
dello stare, da questo fico
solitario lo stillare
del Verbo sempre nuovo
il nettare prezioso.
Preghiera a Krsna il divoratore
Sradica le mie speranze,
dissolvi i miei legami,
distruggi, fanne brani
come resto di pasto di cani,
sprofondali nel più nero
risucchio di uragano,
infila il mio cranio
con la tua tremenda mano,
fanne fodero fedele
e senza scopo
della lama infuocata del tuo vuoto.
Il sole eterno della sventura
ha il peso di pietra che grava
su schiena di schiavo
votato alla Storia,
il fragore di un gemito,
la sostanza di un gesto preciso
secco e fatale
come quello di un danzatore
che non vuole danzare.
E accumularsi parole
sotto sguardi arrossati
infuocati
da notti sempre più oscure
da arsure
strappate alla gola
brano per brano
suono per suono
come il tuono senzacqua
ché sola frescura,
perdono
di un ultimo giorno
che strappa viscere e sensi
e consegna
allestatica danza di onde
e silenzi.
Avere il senso
nelle cose che sono,
percorrere il limite
del pieno e del vuoto:
nel Due che è solo Uno
(Qualcuno
forse simile a Nessuno)
Il cielo è sgretolato
(Tremante dai piccoli passi
Lungo questo sentiero nascosto)
Sgretolato è il cielo come gemma
Di una eco tremenda corona
A questi passi tremanti
Non oltre si fa leco parola
Non oltre risuona
E un sussurro spalanca questeco
Una soffio di voce incendiata
Sgretolato da piccoli passi
Più avanti! Non oltre! Che nulla più accada!
(Nel roveto è lantico fuoco
E la rosa superna abbagliata
Dai nostri umili passi)
Ho dormito con le coccinelle
incavate
in una pietra
e uno scarabeo verde
sopra la mia testa,
un cane inatteso
compagno al mio fianco,
il vulcano
là sotto che scuoteva,
e
ho fissato la luna negli occhi.
Poi è giunta l'alba.
I fili di pioggia
strappati
da un cielo annottato
schiacciato
sulla punta rischiosa del minareto
si intarsiano
intorno al mio corpo
colonna di vuoto
segnale dincanto
(e intanto il muezzin
espira il suo canto
che si annoda
ai fili di pioggia)
I nervi
i muscoli
i tendini
le ossa
il corpo intero si fa vuoto
gli occhi
canali di luce
lo aprono
allimpossibile
il corpo si tende di nuovo
in alto
gloria senza fine
Se Tu urli, sospiri, e sbuffi
come una partoriente,
se è Tuo anche il dolore,
quale sarà il mio dominio,
come potrò io gridare
senza essere travolto dal Tuo gridare,
cosa posso fare se non abbandonarmi
come un cadavere al fiume?
Sotto una lama di nubi nere
che squarcia verticale lorizzonte
luminescente,
ora che laria si fa pesante,
densa di pioggia che non lava
e non rileva
labbaglio di un soffio:
e su un cuscino di lame
riposa la testa, su questa memoria
che dona loblìo.
Alla Tambura
La tua roccia è lieve
come le eterne cose,
vengo a rivedere
un brano del mio nome
tra le tue rocce, aspre
amiche che spremono il dolore
e ne fanno vapore entro il tuo sguardo
circolare e incircoscritto,
inafferrabile
come il battito di ciglia
che fa compiuti i tempi.
Nellattesa
lorecchio teso alla porta chiusa
che invoca la resa
ascolta lo sguardo che invoca
più luce!
che invoca larsura che attende
la sete.
Canto dinfante
Se non sapessi il tempo!
Se potessi essere libero,
dissolto in luce e canto!
Se potessi calibrare ogni parola
ogni pensiero
ogni singulto
sui silenzi che ho intravisto!
Se potessi celebrare ogni momento
con la voce degli alberi
la risata del vento
con il suono del mare e del tuono
il silenzio!
Eppure sto legato a questa vita.
Alla sua Meravigliosa vanità.
Alla sua faticosa Verità.
Dal cuore non salza croce alcuna
Infiammano ancora
gli occhi i tuoni,
e la lingua inerte
Non importa quanto remoto
questangolo del mondo
che sopporta un odio nuovo
Raphel maì amech zabi almi
cominciò a gridar la fiera bocca
cui non si convenian più dolci salmi.
Memorie del viandante idiota.
"Eravamo io e lei.
In una deriva del crepuscolo.
Incrociamo un corteo, bandiere rosse a sventolare, le seguiamo fino alla piazza.
Lì un presidio, cinquanta persone o poco più, voci nel deserto, e mi vengono le lacrime agli occhi.
Tutto appare irrimediabile.
Irredimibile.
Volto la testa, e gli occhi si posano sulla facciata di una chiesa, lieve e visionaria.
Ma il pianto non si placa, altre lacrime sono per venire alla luce di fronte a questa lontananza.
Bellezza violata, non colta, incolta.
Le dico una parola, e le lacrime si bloccano sulla soglia degli occhi.
La seguo dentro la chiesa.
Dal fondo viene un canto.
Dalla cripta sotto laltare.
Voci salmodiano sublimi gregoriani.
Mi siedo su una panca, gli occhi sullenorme ombra del crocifisso impressa sulla parete dietro
laltare.
La redenzione si fa ancora più remota, e gli occhi tornano a bruciare."
Nella casa nel bosco
nevicano primavere
(sul vetro
ancora regge la scritta
tracciata a pennarello).
Intermezzi
tra un bollettino di guerra e laltro
trasmessi dalla radio.
In questa notte che avanza,
la visione più chiara e distinta:
(alla luce della morte
si è sempre più veri):
e tutto ciò che ha detto Iod/Dio
faremo e ascolteremo.
Notte desolata, e noi
Con lei.
Nessuna comunanza,
nessuna luce.
Solo smorto pulsare di luna.
(Nulla più
che unombra).
Neppure il bosco
Si faceva sentire.
Aveva ravvolto in un silenzio
Orribile
Anche il bussare del vento.
Mi sono inscritto nella carne
la carne di chi ho amato
(quegli sputi damore che gli ho dato)
con cocci di bottiglia, coltelli,
e un punteruolo,
ed è schizzato via un grido danimale
che mi riveste con un ghigno
di giullare imbestialito
quando vado a raccattare pene
infradiciato
dal mio demone dal vino e dalla vita.
Dentro il tuo occhio potessi
asciugare ciò ché stato
fatto cosa,
sfiorare con le dita la tua assenza,
disseccare i miei pensieri
al fuoco duna trasparenza,
strizzar via i veleni
e dar luce alle ossa
- ma le luci scoprono ferite
in questo cielo, e non sono
fiamme, né parole.
So le pene senza una ragione
che verranno come voci
aggrovigliate,
e già grido il vuoto che non vedo,
lo dico, che sarà,
ché mi sia forma,
mi sia dabbaglio il buio e già non gravi
sullo sguardo
disperde le parole
altro non sia che vento.
La tua voce mi dice
uno stupore nero,
da me vorresti linnocenza di Giobbe,
e non ho risposte...
Ma so questacqua scura,
scivola dalla pelle
e si fa mare,
sale, cattura,
costringe ad annaspare,
ti fa cieco
per sapere i venti
ancòra, e le correnti,
e su quel senso farti legno
e con quel segno riveder la luce,
e ritrovare terra.
(Allora tendi lorecchio
alla gola bruciata,
alla sua croce,
alla sua guerra).
Fissa gli occhi sul mio riso,
amico che non vedi, e forza
i cardini dello sguardo
(il mio, il tuo):
se qualcosa ancora distingui
in questa confusione, tra bottiglie,
risate isteriche e spreco di vanità:
nel cavo della bocca è la deriva
che mi porta nel cuore del sangue cattivo
dove si schiantano stelle sulle rive,
e fa che questa notte mi sia lieve.
Vivo col terrore negli occhi
in questo giorno che ingrossa
come unarteria malata
e toglie il respiro.
Ascolto i nomi che spargi
come semi da fiore,
ma non risuonano danima viva,
né aroma,
è solo un assedio incolore,
e un formicaio giù per la gola:
istante eterno morire anche ora.
Non cé mondo, oggi,
solo unaria tremula e pesante
di fantasmi, o deserto
che non lascia scampo,
né fiato per il canto.
Lo spirito esala in fantasia vana,
fissare lombra al suolo
come palo di meridiana,
traccia dun demone greve
che al suo legno inchioda.
Oggi oscura i fuochi
un cielo giallo di gesso,
parete di gelo
che non offre appigli:
non una bava di vento
(le bandiere appese,
una schiera di impiccati),
immobile il corso del tempo,
perfino gli uccelli non sento cantare,
ma solo un metallico vociare
asservito al comando del giorno.
E solo un gemito
sento nel tuo gesto,
respiro trattenuto
come da un ghiacciaio
la morena.
La prora nella tempesta
fendevi le onde
aggirandoti
in una nebbia spessa coltre
protettrice di risposte
un balenìo sull'acqua
seguiva lo sprofondare
dei morti tuoi marinai
consegnàti al ricordo
uno
dopo
l'altro
e sempre nuovo equipaggio saffacciava
sfidando fulmini tappando falle
procedevi
verso un tenue orizzonte immaginato.
Parole gridate
in una notte di burrasca
il cielo singialliva
cartonato a pergamena
angeli lineari
a ritrovare il filo
sul terreno sterile
crescevano ingiurie
come erba incolta.
Bianco il sole sulle paranze
di uomini pescatori
in fondo al lago
già riappare una città perduta
(vicoli, topografia angusta)
le cose salzano su un fango affaticato
strade di polvere di lacrime
percorse da filari di donne nere
chiome velate di sonno
in attesa di una luce ulteriore.
Cicatrici infette blu i monti
su tramonti dinamite
esplosi
su ciottoli di luce.
Apri lo sguardo
e non senti parola,
come lucertola
imprigionata dal sole
attendi
e non sai,
boccheggi
per ciò che non sei,
sdraiato sulla tua spossatezza
osservi: una coccinella
sale su un fiore
e scompare,
rimane fisso il tuo sguardo.
Scavato dalla parola
che attendi
come soprassalto
e non viene
...
Qui
è il punto
di implosione.
La natural burella.
Di qui in avanti, non ci si può che distendere.
Ma la via è lunga,
e il cammino
malvagio.
La tensione dello scrivere.
In punta di sedia,
poca luce al centro del buio.
Divina lingua dei guaranì
che ha una parola sola
per dire "parola"
per dire "anima".
Mi sei apparso in sogno, un anno fa,
e con voce appena udibile
eri a indicarmi la rotta
per attraversare lo stretto
evitando gli scogli:
adesso sciolgo il tuo silenzio in parole,
visioni come maglie di catena
(lo sfondo, assente):
un dire
che soggiace allocchio interiore,
occhio della dismisura
e delladerenza
un dire
che sfugge allocchio esteriore,
occhio giudicante,
che misura la distanza
Qui le parole posano
(come foglie di tè)
e prendono la forma del mio vuoto
si manifesta il tacere
sincide questo bianco
per raffigurare
le cicatrici del silenzio
Se avanzano le cose le parole,
doglia, superbia e lignoranza vostra
stemprate al fuoco chio rubbai dal sole.
Raffigurazione è ricomposizione.
Ricordare ogni visione
con i colori più accesi a disposizione.
Nella mano un filo, trascinato
da un fantasma per i gironi
e i cieli del labirinto.
Scrivere lo zero per simboli.
Confessare linconfessabile attraverso figure.
Rendere le figure chiare e distinte.
Raffigurazione è ricomposizione,
di fronte allinadeguatezza delle parole
si scelga una costellazione
e la si costruisca logicamente.
Per abolire ogni immagine
devi sputarle tutte fuori.
Fanne una scala,
montaci sopra,
buttala.
Ora.