l'arte moderna
Carissima Chiara,
La commissione per il Convegno dArte dAprile mi ha chiesto di preparare per te una documentazione sullarte moderna. Missione impossibile! Non sono né storico né critico darte. Cosa posso fare? Se sei contenta cercherò di raccontarti qualcosa della mia esperienza dartista focolarino in confronto con larte moderna.
Quante cose mi sono venute in mente che non ho messo in queste pagine perché più ci penso più mi sembra che la chiave di comprensione dellarte doggi sia la morte della bellezza.
Credo che li di più che il carisma porta allarte doggi sia proprio, oltre la consapevolezza della morte della bellezza, la certezza che la essa è risorta, e che può di nuovo essere meta del lavoro artistico.
Tra Quadrato nero e Quadrato giallo,
l'arte moderna
Da giovane, la mia formazione artistica è stata sostanzialmente classica, perciò poco aperta allarte contemporanea. Come tanti ero perplesso davanti ad unarte che pareva non avesse come meta la bellezza. Ero tentato di rifugiarmi in un passato esteticamente sicuro.
Fino a circa un secolo e mezzo fa, nessuno dubitava che la meta dell'arte fosse la bellezza, e che il brutto ne fosse il contrario. L'arte per definizione doveva tendere all'armonia, cioè al godimento estetico. In musica le dissonanze erano bandite, esistevano regole di composizione, daccostamento di colori. Certe realtà della vita erano considerate banali, e perciò non potevano essere oggetti della creazione artistica.
Gli artisti moderni non vollero essere al servizio del mero piacere e del godimento. Rifiutando unarte di divertimento, di consolazione, magari religiosa, alienato dalla realtà.
Hanno quasi rovesciata la definizione dell'arte in quanto ricerca darmonia. Il bello non è più la meta dell'arte in quanto non si è più cercato di piacere, di divertire, di consolare. Il cattivo gusto non fa più paura. La banalità è quasi diventata di rigore. Aggredire con colori contrastanti e forme disarmoniche, stonare in musica, sparlare in letteratura, rompendo con ogni convenzione, ogni regola di composizione, è un credo estetico comune a tanti artisti di questo secolo.
Per me come per tanti, l'arte moderna era sconcertante. Facevo fatica a conciliare l'idea della bellezza come attributo di Dio e unarte che, di fatto, si presentava sovente appunto come materialista, e, di proposito, non cercava l'armonia.
Però come tanti, sentivo ugualmente che certe opere d'arte moderne, pur "brutte", mi toccavano, mi facevano meditare su realtà profondamente umane, mi mettevano in contatto con il dolore, l'orrore, lo smarrimento, la solitudine e tutti mali e le brutture del secolo, senza compiacimento, ma con una castità, una verità, una compassione, che davano a queste opere la grandezza tragica di capolavori.
Daltra parte non riuscivo a sopportare la letteratura edificante, le immagine pie, e tutta la produzione all'acqua di rosa dartisti così detti credenti.
Il mio interesse per l'arte moderna, per tale film sconvolgente, tale romanzo scandaloso, tale pittura grottesca, tale poesia ermetica, era forse una debolezza o unimperfezione?
Sentivo istintivamente che la verità e il bene erano dalla parte di questo brutto e non da quella di questo bello.
Chiara, mi hai risolto tu questo dilemma col tuo consiglio alle focolarine che incominciavano a studiare. Dicevi loro di non temere, di non lasciarsi intimorire dalle idee stampate nei libri, ma di amare i pensatori come dei prossimi, vedendo Gesù in loro, magari abbandonato, magari morto, e di ricevere la parte di verità che ognuno aveva da dare.
Così ho fatto con gli artisti. Ho trovato la bellezza morta, ma di là dalla morte, passando attraverso la piaga del brutto ho incontrato tanta bellezza.
Il Risorto con le stigmate della Passione
Una mia esperienza di pittore mi ha fatto approfondire questintuizione. Quattro anni fa alla Mariapoli Faro, Ivan voleva farmi dipingere. Non ero nella condizione mentale di dipingere e, per via della guerra, mancava il materiale. Ho trovato un vecchio lenzuolo, sporco, strappato e qualche resto di pittura. Ho dipinto.
Bostian che era contento e sorpreso del mio lavoro, ha pensato che dovesse esistere da qualche parte il secondo lenzuolo del paio. Lo ha trovato, pulito, stirato e me lha portato per dipingere un altro capolavoro. Era consumato, bucato, da buttare. Ero desolato. Come fare a non disilludere Bostian?
Guardavo con angoscia questa gran tela che si sfilacciava, che spariva, e mi venne in mente Gesù Abbandonato. Incominciai a dipingere un gran viso di un uomo dei dolori, coronato di spine, sanguinante, "brutto". Ma man mano mi accorgevo che non stavo dipingendo Gesù abbandonato ma il Risorto
Finora erano due immagini distinte dittico contrastante. LAbbandonato e il Risorto. Avevo dipinto per la prima volta il Risorto, con le stigmate della passione e della morte.
Guardando a lungo e con stupore quella pittura che avevo fatto con le mie mani, capivo l'esperienza estetica di questo secolo come un approfondimento della comprensione di cos'è realmente la bellezza, e perciò di cos'è l'arte. La Bellezza eterna si è fata uomo in Gesù, ha vissuto tutte le vicende della vita umana, le più sublime come le più triviali, le più gioiose come le più dolorose, fino all'abbandono, alla morte, e, credo, alla risurrezione della bellezza.
La bellezza è morta nellarte contemporanea, ma così si è espressa nel modo più totale. Si è nascosta nel brutto dove devo cercarla, riconoscerla, e metterla in luce come hanno fatto gli artisti di questo secolo che hanno prodotto così i loro capolavori.
E credo che la bellezza è risorta, perciò sono convinto che si può pensare di nuovo che la bellezza sia la meta dell'arte, però non è più una bellezza piacevole, divertente, da godersi, ma è la bellezza purificata che, nella sua gloria, porta le stigmate della propria morte.
Sarebbe molto lungo cercare di illustrare la storia dellarte moderna, mai completamente ammessa dai contemporanei, perché sempre in equilibrio instabile, sempre in opposizione di fase, perché sempre in ascolto del mondo avvenire. Questa storia mi ha incoraggiato a guardare verso lavvenire, e verso le nuove tendenze artistiche, anche se per me difficili da capire e piene di interrogativi. Tante volte mi sono trovato, dipingendo, a scoprire nella mia propria pittura la risposta a tali interrogativi. Mi sono trovato un giorno per esempio a dipingere in un certo senso come Picasso. Da allora Picasso non è più per me unenigma.
Picasso e il Cubismo
Mi colpisce la nascita del cubismo. Picasso, che poteva sviluppare, precisare, affinare il primo Picasso - e ciò sarebbe bastato ad assegnargli un posto di primo piano nella storia dell'arte - si mete a cercare disperatamente. Perché? Non l'ha mai spiegato, e Braque - che fu il primo compagno dell'avventura cubista rivela l'esistenza del mistero, pur senza svelarlo: "Ci siamo detti con Picasso, durante quegli anni, cose che nessuno si dirà più, che nessuno saprebbe più dire, nessuno saprà più comprendere. Cose che sarebbero incomprensibili e che ci hanno dato tanta gioia, e ciò sarà finito con noi."
Qualcosa come il lampadario di Galileo, o la mela di Newton, ha scatenato un nuovo modo di captare la realtà e di renderne conto. Questo primo choc provoca una valanga. Ormai Picasso, e con lui la pittura contemporanea, rompe con una tradizione che risale al Rinascimento.
Le opere cubiste folgorano la forma reale in favore di una figurazione sempre più ermetica. Eppure, qual emozione in queste tele! E' che, unitamente allo smantellamento delle strutture formali, si nota una preoccupazione sempre più grande dunificazione delle composizioni. Non esiste più vuoto, più fondo. Il soggetto non esiste più di per sé e per sé. E' polverizzato, ma invade la tela. Tutto è soggetto.
Nello stesso momento, altri elaborano la teoria della relatività, scoprono la radioattività, esplorano l'inconscio, mettono a punto la non violenza incontrano il Cristo nella Materia, e compongono la Sagra della Primavera.
Tutti, trascinati da un'intuizione creatrice, infrangono la costrizione delle idee preconcette, rimettono in causa, in nome di un imperativo interiore di un'evidenza che non è tale che per loro, l'ordine che s'era instaurato trionfalmente nella società e nel pensiero occidentali alla fine del diciannovesimo secolo.
Nascita dellAstrattismo: i meli di Mondrian
Mi sconvolge il dramma mentale e sensibile che dovette passare Mondrian per cambiare così radicalmente la sua ispirazione e la sua estetica. Seguendo l'evoluzione dalla figurazione del Melo alle composizioni rigorosamente geometriche che per tutto il secolo hanno ispirato architetti e graffisti, condizionando in modo forte e quasi esclusivo il nostro ambiente.
Da quasi un secolo la fotografia, caricandosi dalla rappresentazione fedele e precisa della realtà, aveva tolto alle arti grafiche quello che sembrava la loro missione e il loro privilegio. Il disegno e la pittura potevano sembrare votati a una totale sparizione in un mondo di tecnica e di efficienza giacché l'ideale della rappresentazione perfetta della realtà era stato raggiunto con altre strade.
Invece non fu così, anzi lungi di togliere la loro ragione d'essere alle arti grafiche e alla pittura, la fotografia le liberò dall'ipoteca che da secoli pesava su di loro, rendendole alla loro vera missione. Gli artisti capirono che non avevano niente da guadagnare nel rimanere su un terreno che non era veramente il loro e rinunciarono a una figurazione pedestremente realistica, apprendo nuovi orizzonti per la maggior parte ancora completamente inesplorati dalle generazioni precedenti.
Con Piet Mondrian la pittura entra progressivamente in quella che chiamiamo astrazione.
Alcuni meli, o, meglio, lo stesso melo dipinto diverse volte di seguito, tracciano le tappe dell'astrazione. Quella che all'origine era solo una rappresentazione fedele sinteriorizza, le linee di forza appaiono, una struttura,
una composizione nascono da uno spogliamento, da un'ascesi. Mondrian penetra la realtà nelle sue fibre, nelle sue leggi, nella sua armonia profonda e primordiale. Assomiglia ad un'inchiesta fisica ed è una ricerca metafisica, come quella di Kandinsky.
Presto il melo non è più riconoscibile e Piet Mondrian non tornerà mai indietro ma continuerà indefinitamente a penetrare nella contemplazione di una bellezza che ha percepita, scoperta, svelata, analizzando un quadro che rappresentava un melo, poi analizzando il quadro nato da questa contemplazione, e così via. E il suo sguardo non si è mai staccato da questa visione, attingendovi per tutto la sua vita l'ispirazione della sua opera uniforme e varia all'infinito.
Ma quello che mi stupisce probabilmente maggiormente è scoprire grazie a Mondrian un criterio di bellezza: il dolore. Le opere degli epigoni di Mondrian che coprono le mura dei musei, in qualche modo dipinte meglio di quelle di Mondrian e perciò più perfette, non portano la carica emotiva legata alla sofferenza dell'ascesi che il pittore olandese dovete passare.
Mi è chiarissimo quando un'opera ha chiesto al suo creatore il dolore del parto: solo quella è viva, le altre possono essere piacevoli quanto vogliono, sono opere morte.
Il Quadrato Nero
Ricorda El Lissitzky, uno dei primi astrattisti russi: "Nel 1915 Malevitch dipinse un quadro nero. Ebbe il coraggio di gettarsi allo sbaraglio creando una forma che faceva a pugni con tutto quello che era inteso come quadro, pittura, arte. Dichiarava di voler azzerare le forme, la pittura. Noi dicevamo: si, è lo zero della serie decrescente, ma anche l'avvio di una nuova serie ascendente."
Il Grido
Nell'arte moderna e contemporanea, una delle caratteristiche più forti è la coscienza lucida della condizione umana, del suo dolore, della disperazione alienante; c'è quasi una spietata volontà di toccare fino in fondo questo calice di dolore, che è ricolmo di tante ingiustizie, di soprusi, di guerre.
L'espressionismo, ancora agli inizi del secolo ha denunciato con rabbia questa situazione, sotto lo stimolo anche delle forti pressioni sociali. Pare mosso da istinti abissali, distorce tutto, esaspera, sradica. Ensor, Munch, Nolde denunciano orrori, la coscienza offesa, l'uomo denudato e smarrito, il putridume di un mondo che essi vedevano in sfacelo.
Ricordo il celebre quadro di Munch: "Il grido". Un volto sfigurato con gli occhi rossi, sbarrati come di un pazzo, grida per la strada, in uno sfondo livido. Lo stesso Munch scrisse sotto una riproduzione di questo quadro: "Sento l'urlo della natura."
Arvo Pärt
Assistendo ad un concerto dArvo Pärt, musicista contemporaneo che ha sofferto le persecuzioni sovietiche, ho avuto la certezza che si possa ancora fare musica dopo i campi di sterminio Nazisti e il Gulag, perché non è per niente compiaciuta, ma richiede una totale castità dell'udito.
Arvo Pärt dice della sua musica che è fatta di silenzi incorniciati da suoni. Sembra un modo di dire, ma è proprio vero. La musicalità dei silenzi dArvo Pärt è sconvolgente, crea nell'uditore una qualità dascolto che sconfina nella preghiera e nella contemplazione.
L'Uomo che cammina
L'Uomo che cammina di Giacometti. Una delle opere più rappresentative del secolo, probabilmente perché una delle poche che riesce a dirci qualcosa dell'uomo in piedi, anzi che cammina, oltre ai campi di sterminio, oltre alle ideologie e alla morte di Dio.
La dolce vita
Ti ricordi quando ci leggesti La Risurrezione di Roma, ce l'hai presentata assicurando che la Roma che aveva visto era proprio brutta. Fellini non aveva inventato niente quando girava La Dolce Vita, perché Roma era proprio come lui l'aveva descritta nel suo capolavoro artistico, che peraltro era stato visto come una diavoleria. Negli stessi momenti ci hai letto due testi sull'inferno. Sembrava proprio la descrizione di tutti i dolori che abbiamo osservato con gli artisti di questo secolo. L'inferno come un cadavere dagli occhi fatti per vedere e che non possono più vedere, con un cuore fatto per amare e che non può più amare.
Scrissi una letterina: "Tra le realtà stupende che ci hai mostrate oggi, credo che la più bella è la visione dell'inferno, è un capo lavoro come La Dolce Vita dove in modo geniale Fellini aveva descritto quella Roma infernale e tragicamente grottesca che assomiglia in tanti punti a quello che dice la pagina che hai letto: limpossibilità damare, il non senso di tutto, il rovesciamento esasperato dei valori, la corsa senza sosta, la noia senza risveglio, il mondo come il cadavere di un gran pesce che ha occhi strabuzzati e non può guardare. Penso che come altri grandi artisti del nostro tempo, ha saputo descrivere l'inferno, ma non sapeva che si poteva vederlo dal Paradiso, anche se le ultime immagini del film - dove si vede una ragazza dagli occhi limpidissimi e il sorriso virginale - possono essere interpretate come un desiderio - non attualizzato - di guardare con altri occhi.
Ne La Risurrezione di Roma tu mostri come dovrebbe essere lo sguardo dellartista che vede tutto, anche il male che si nasconde, ma non lo mostra in modo ambiguo, compiacente, col rischio di fare una diavoleria, ma come Dostoevkij, guida verso la bellezza e la luce nelle quali queste realtà - redente da Gesù Abbandonato - si presentano nel Paradiso."
Non ti avevo detto, ma pensavo, che questa ragazza dagli occhi limpidi che guardano Mastroiani con un amore immenso quanto disinteressato, che cerca di parlare con lui, ma lei si trova di là del fiume, questa ragazza che affascina Mastroiani, ma che gli fa anche paura perché la sua purezza è troppo grande, il suo amore troppo puro, perché lui è schiavo di un mondo che è un cadavere di pesce dagli occhi strabuzzati, e che non riesce a lasciarsi amare, pensavo che questa ragazza come la Roma marcia della Dolce Vita, non è stata inventata da Fellini, ma che all'insaputa del gran regista è realmente esistita ed è - così la immagino da quando ho letto questo testo - quella giovane provinciale che ha scritto La Risurrezione di Roma. Una ragazza che porta su la realtà uno sguardo senza paura. Non si chiude gli occhi. Vede anche il male che si nasconde. Ma non si scompone. Non si scandalizza ma non si compiace.
Uno sguardo che cerca la bellezza dove non c'è, e la trova; uno sguardo ri-creatore che introduce il brutto in paradiso, redimendolo. Direi di più: uno sguardo che vede la morte della bellezza, ma non dubita e la risuscita, quello è lo sguardo dell'artista. Tu dici altrove che l'occhio del santo è uno sguardo di Dio sul mondo, in questo l'artista assomiglia al santo: guarda come lui, ma quello che nel santo è misericordia e compassione, amore, nell'artista si chiama bellezza.