Michel Pochet

Arte in comunione

La mia esperienza artistica con Chiara

"Rounds" di Luciano Berio

Spettacolare, non è vero? Vi è piaciuto? Ho scelto questo pezzo di musica decisamente contemporanea per introdurre tutta questa ora consacrata all'Arte di questo secolo, e alla mia esperienza artistica con Chiara.

Prima parte

Dio Bellezza

Negli anni della mia giovinezza, era opinione di tanti che Dio e Bellezza, o per lo meno arte e religione, si opponevano. Si giudicava santità e vita d'artista una contraddizione nei termini. Per me erano un tutt'uno, al punto che la fede in Dio era stata intaccata dal pensiero che l'avessi confusa con l'esperienza estetica, dando al Bello, che sperimentavo, il nome di Dio che magari non esisteva.

Dio in quanto Bellezza era un'esperienza costitutiva della mia identità. Risaliva ai miei primi ricordi di bambino e non si era mai smentita. Mi sentivo chiamato, insieme, al sacerdozio e all'arte.

Sottile attrazione del nulla

Il tempo prima di incontrare Chiara, fu, per questa ragione, un tempo di profondi e forti scossoni, perché quello che sentivo e capivo della mia identità mi pareva senza possibilità d'attuazione.

Non c'era posto per me in un mondo diviso in due parti: il religioso e il profano. Rimpiangevo altri tempi che pensavo avessero reso possibile l'arte di un Beato Angelico, o la fede di un Michelangelo.

E mi veniva in mente l'assurdo: poiché non esisteva, fondare io una comunità d'artisti tutti dati a Dio Bellezza.

Dubitavo. Cercai per anni la prova della non esistenza di Dio, o quella della sua esistenza. Ma nessun ragionamento mi convinceva.

Ero allora studente a Parigi. Tutto dava di me l'immagine di un giovane felice. Lo ero. Ma il dubbio installato rendeva precari tutti gli agi, e ricordo una certa notte, dopo uno strepitoso Don Giovanni all'Opera, quando un abbattimento più acuto mi obbligò a domandarmi se avessi ragioni sufficienti per vivere.

Non ne avevo. Ma non trovai nemmeno una ragione per togliermi la vita. E superai una volta di più la sottile attrazione del nulla.

Fiera di Primiero

Alla mitica Mariapoli '59, l'intimità con Dio si staccò di colpo dal godimento estetico. Provavo Dio molto vicino a me, ma ogni gusto estetico era sparito. La natura, che sapevo stupenda, era disanimata, simile ad uno scenario di teatro. Dio era sparito dal Bello. Ne rimasi sconvolto e turbato.

Una voce interiore mi disse: Smettila col confondere Dio con la bellezza, al punto di negare la sua esistenza perché lui ti viene incontro nella bellezza. Credi. Stai attento perché questa può essere l'ultima occasione! Infatti in Mariapoli mi è stata data l'opportunità di decidere di credere in Dio e di sceglierlo, mettendo ogni cosa al secondo posto.

Un'idea nuova si faceva strada in me: la tua arte sarà vivere Maria, nel senso di dare Gesù Bellezza al mondo. Questo sarà pure il tuo sacerdozio, attraverso le tue opere: dare corpo alla bellezza di Dio.

Lasciando Fiera di Primiero, scrissi una lettera a Chiara dove narravo, nei particolari, tutta la mia storia fino a quest'intuizione della mia vocazione, e chiedevo il suo parere.

Ella mi rispose questa lettera (chirografa): "Riguardo a quanto mi hai detto nella tua lettera, spero poterne parlare più a fondo quando ti rivedrò, forse a Parigi. Per ora continua per la strada intrapresa. Certo che Gesù mi sembra abbia un disegno su di te. Ma si manifesterà."

Visione estetica del mondo

Nell'inverno 1961 si andava in due macchine verso Roma. Mi sono girato per salutare gli occupanti della seconda macchina. Il sole era già basso. Ho ancora oggi negli occhi la sua bellezza. Pareva vivere, palpitare, danzare nell'azzurro terso.

Il cuore batteva lentissimo. Non respiravo quasi più. Ad un tratto uscirono dal sole delle ondate di luce dolcissima, come un respiro che allargava sul cielo intero, alternando tutti i colori dell'iride.

Pensai al sole come immagine di Cristo, ma la luna come immagine di Maria mancava. Intanto il santuario di Ronchamp sagomava, invitante. Le sue forme bianche di donna forte mi strinsero nella loro potente pace. Compresi che, nel simbolo che mi era dato di vivere, Maria era presente, non come la luna, ma come il cielo azzurro che conteneva il sole. Fu quella sera che sentii, più che compresi, che lei era madre del Bell'Amore, e volli esserle figlio.

Il sole era tramontato, ma la sua luce dorata faceva sì che non esisteva ombra, ma solo luce. In questa luce, tutto quanto i miei occhi vedevano, era bello. Dei mistici ebbero una visione religiosa del mondo. Da artista, la mia fu una visione estetica.

Da quel giorno ogni bellezza è relativizzata da questa visione di una bellezza inconfondibile; d'altronde, da quel giorno, so di poter trovare ovunque un seme di bellezza.

L'arte è vanificata, e nello stesso tempo trova una struggente ragione d'essere. Infatti, se Dio vede il mondo così, urge mostrarlo come lui lo vede. E questa è l'arte.

Il gallerista

Un amico di famiglia mi presentò ad un grande gallerista parigino che apprezzò i lavori del giovane artista. Generoso, mi spiegò i requisiti per essere assunto nella sua scuderia, con futuro assicurato. Bastava scegliere una caratteristica formale, facilmente individuabile dal mercato, e attenervisi. Mi mostrò lavori dei suoi protetti. Sì, ognuno aveva sviluppato uno stile di moda, neanche sgradevole per la verità, ma già chiuso su sé stesso, già vecchio. Fuggii, disgustato.

Il "Centro Maria"

Nell'ottobre 1961, Chiara parlò di un Centro artistico dell'Opera, il "Centro Ave Maria". Doppio, il "Centro Ave", femminile, e il "Centro Maria". Per suggellare questa nascita, Chiara diede a Silvana Cerquetti il nome di Ave. Il Centro Ave si è sviluppato finora come si sa, ma il Centro Maria sparì nell'oblio.

Negli stessi giorni, Chiara mi chiese un disegno per un biglietto d'auguri natalizi. Disegnai una Natività che pure sparì nell'oblio.

In realtà, Chiara l'aveva scelta. Era stata stampata con, negli auguri, due sbagli d'ortografia. Tutti biglietti erano stati distrutti.

In basso a sinistra, Chiara aveva fatto scrivere: Centro Maria. Il Centro Maria era nato, insieme con il Centro Ave, ma nato morto.

Per me quest'episodio dell'aborto, per così dire, del Centro Maria è l'apologo della mia intera esperienza artistica nell'Opera: perdere e ritrovare, per perdere ancora e più radicalmente.

Madre del Bell'Amore

Ero profondamente consapevole dell'obbligo di non seppellire i miei talenti per paura, né mancare d'olio per negligenza. Non gli altri erano responsabili del disegno di Dio, neanche i miei superiori. Obbedienza leale e distacco gioioso, nel rispetto scrupoloso dei doni di Dio.

Di tutto questo parla uno scambio di lettere con Chiara. "Com'è che oggi provo il bisogno di fare il punto? Forse perché la mia vita ti appartiene. Forse perché sono nato con te nello spirito di Dio, e perché sono una delle sue parole nella sua parola che sei tu. Non vorrei mai parlare di me, e forse questo spiega il mio silenzio abituale con te, ma oggi scopro di più che non esisto. Tu esisti. Sono uno di te. Dal mio incontro con te lo so. Non c'è mai stato un dubbio a questo proposito. Ho sempre e solo aspirato ad annullarmi per farti posto, per permetterti di vivere in un'altra individualità, di parlare un'altra lingua, di penetrare in altri ambienti, di esprimerti con altri mezzi, di vedere con altri occhi, d'amare con un altro cuore, di soffrire altre sfumature del dolore.

Ho fatto il tuo incontro or son quindici anni, e provo oggi il desiderio di sapere chi sei in me. Chi senti di essere in me? Sei libera in me, o metto ostacoli al tuo amore, alla tua sofferenza? Cerco di cogliere il battito del tuo cuore nel mio, cerco di balbettare la tua parola nella mia, e mi sforzo di esserti fedele, ma chi sei in me?

Vedo che dove vivo altri si sentono incoraggiati a lavorare nel campo artistico. Sei tu in me che li incoraggi? Altrimenti, che m'importa? Se tu non approvi ciò che scrivo, dipingo o scolpisco o creo in altre arti, che m'importa? Essere te m'importa. Ma tu, chi sei in me ?"

Chiara mi ha risposto: "Ecco, il più gran capolavoro che tu puoi fare, e lo sai fare, è scolpire Maria in te. Dico che lo sai fare perché, con la grazia di Dio, sei arrivato a comprendere di dover spostare ogni cosa per lasciar posto a Dio solo.

Se eccezionalmente tu tieni ancora una matita, un pennello, uno scalpello per disegnare, dipingere, scolpire, è perché chi ti dice la volontà di Dio ha pensato che ciò non sia d'ostacolo alla tua cristificazione, ma vi porti anzi una nota di bellezza.

Mi chiedi - e comprendo la tua espressione - cosa sono in te, e cioè che cosa fa il carisma in te: vorrei dirti che desidero ripetere la mia vita in te, amare Dio anche col tuo cuore, in particolare modo come Madre del Bell'Amore. Penso che ciò ti basti e t'ispiri."

Arrivo Roma

Dopo ventiquatro anni passati in Belgio come delegato dell'Opera, mi sono trovato stanco, e sono stato chiamato a Roma per riposarmi. Ma quando mi sono ripreso, Chiara mi ha chiesto di rimanere per "lavorare nel mio campo, e per il mondo dell'arte". Per capire quello che lei desiderava ho ricordato a Chiara la storia del "aborto" nel 1961, e lei ha confermato che quello che ora veniva alla luce era il Centro Maria.

Parte seconda

L'Arte moderna

Diapositive della pittura contemporanea

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La mia formazione artistica fu sostanzialmente classica, perciò poco aperta all’arte contemporanea. Come tanti ero perplesso davanti ad un’arte che pareva non avesse come meta la bellezza. Ero tentato di rifugiarmi in un passato esteticamente sicuro, quando nessuno dubitava che la meta dell’arte fosse la bellezza, e che il brutto ne fosse il contrario.

Per secoli, l’arte per definizione aveva teso all’armonia, cioè al godimento estetico. In musica le dissonanze erano bandite. Esistevano regole di composizione, d’accostamento di colori. Certe realtà della vita erano considerate banali, non abbastanza nobili per essere oggetto della creazione artistica.

Gli artisti moderni non vollero essere al servizio del mero piacere. Rifiutarono un’arte di divertimento, di consolazione, magari religiosa, aliena dalla realtà.

Rovesciarono la definizione dell'arte. Il bello, in quanto gradevole, cessò d'essere la meta dell’arte. Non ci furono più soggetti tabù. Accostare colori contrastanti e forme disarmoniche, dissonare in musica, usare un linguaggio popolare in letteratura, rompendo con ogni convenzione, ogni regola di composizione, diventò un credo estetico.

Come tanti, ero soncertato dall'arte moderna. Facevo fatica a conciliare l’idea della bellezza come attributo di Dio e un’arte che, di fatto, si presentava sovente appunto come materialista e di proposito non cercava l’armonia.

Però, come tanti, mi sorprendevo a sentire che certe opere, pur brutte, mi toccavano nell'intimo. Rivelavano realtà umane nascoste, dolore, orrore, smarrimento, solitudine e tutti mali e le brutture del secolo. Senza compiacenza con il male, anzi si provava compassione e non compiacimento.

D’altra parte non riuscivo a sopportare la letteratura edificante, le immagine pie, e tutta la produzione all’acqua di rose d’artisti così detti credenti.

Il mio interesse per l’arte moderna, per tale film sconcertante, tale romanzo difficile, tale pittura grottesca, tale poesia ermetica, era forse una debolezza o un’imperfezione? Sentivo istintivamente che la verità e il bene erano dalla parte di questo brutto e non di quel bello.

Chiara ha risolto il dilemma col suo consiglio alle prime focolarine che incominciavano a studiare. Diceva loro di non lasciarsi intimorire dalle idee stampate nei libri, ma di amare i pensatori come dei prossimi, vedendo in loro Gesù, magari abbandonato, magari morto, e di ricevere la parte di verità che ognuno aveva da dare.

Così ho fatto con gli artisti. Ho imparato ad amarli. Ho incontrato forse disarmonia nelle loro opere, ma, al di là della piaga del brutto, ho pure trovato tanta bellezza.

Not I

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Samuel Beckett, per esempio, ha portato fino alle ultime conseguenze un teatro reso essenziale all'estremo. Oggi abbiamo la fortuna di avere tra noi, Sarah che ha raccontato questa bell'esperienza a Chiara. Questa dolce creatura, angelica, ci interpreterà una delle parti più difficili per un'attrice, quella della Bocca in Not I, Non me. E' un monologo in inglese, ma credo che non avremo difficoltà a capire il senso profondo di questo capolavoro del nonsenso.

La dolce vita

Quando Chiara ci lesse "La Risurrezione di Roma", ce la presentò notando che Fellini non aveva inventato niente quando girava La Dolce Vita, perché Roma era come lui l’aveva descritta nel suo capolavoro, peraltro visto allora come una "diavoleria". Nello stesso momento Chiara ci lesse due testi sull’inferno.

Scrissi a lei: "Tra le realtà stupende che ci hai mostrato oggi, credo che la più bella sia la visione dell’inferno. E' un capolavoro, come La Dolce Vita, dove in modo geniale Fellini descriveva una Roma infernale e tragicamente grottesca, che assomigliava a quanto dice la pagina che hai letto. L’impossibilità d’amare, il non senso di tutto, il rovesciamento esasperato dei valori, la corsa senza sosta, la noia senza risveglio, il mondo come il cadavere di un gran pesce dagli occhi strabuzzati. Penso che, come altri grandi artisti del nostro tempo, Fellini ha saputo descrivere l’inferno, ma non sapeva che si poteva vederlo dal Paradiso, anche se le ultime immagini del film - dove si vede una ragazza dagli occhi limpidissimi e il sorriso virginale - possono essere interpretate come un desiderio di guardare con altri occhi.

Ne La Risurrezione di Roma, mostri come dovrebbe essere lo sguardo dell’artista, che vede tutto, anche il male che si nasconde, ma non lo mostra in modo ambiguo, compiacente, col rischio di fare una diavoleria, ma guida verso la bellezza e la luce nelle quali queste realtà - redente da Gesù Abbandonato - si presentano nel Paradiso."

Non avevo detto a Chiara, ma lo pensavo, che la ragazza dagli occhi limpidi, che sorride con un amore immenso quanto disinteressato, e cerca invano di parlare con Mastroiani, di là del fiume; questa ragazza che affascina Mastroiani, ma gli mette paura, schiavo come è di un mondo cadaverico; pensavo che lei non era stata inventata da Fellini, ma che era quella giovane provinciale che aveva scritto La Risurrezione di Roma.

Una ragazza che porta sulla realtà uno sguardo senza paura, che cerca la bellezza dove non c’è, e la trova, uno sguardo che vede la morte della bellezza, ma non dubita, e la risuscita.

Il Risorto con le stigmate della Passione

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Quattro anni fa, alla Mariapoli Faro, Ivan Bregant voleva farmi dipingere. Non ero nella condizione mentale favorevole, e, per via della guerra, mancava il materiale. Ho trovato un vecchio lenzuolo, sporco, strappato e qualche resto di pittura. Ho dipinto.

Un altro amico, Bostian, sorpreso del mio lavoro, pensò che dovesse esistere, da qualche parte, il secondo lenzuolo del paio. Trovato, pulito, stirato, me lo consegnò per un altro capolavoro. Era consumato, bucato, sbrindellato, da buttare. Ero desolato. Come non disilludere Bostian?

Guardavo con angoscia il relitto che si sfilacciava, e mi venne in mente Gesù Abbandonato. Anche lui si sfilacciava. Consummatum est. Abbozzai il gran viso di un uomo dei dolori, incoronato di spine, sanguinante. Ma, con stupore, mi accorsi che non stavo dipingendo l'Abbandonato, ma il Risorto. Due icone opposte unificate.

Sconvolto, guardai per ore l'immagine che si era imposta al mio pennello. Si chiariva nella mia mente l’esperienza estetica di questo secolo.

La Bellezza eterna si è fatta uomo in Gesù. Ha vissuto tutte le vicende della vita umana, le più sublimi come le più banali, le più gioiose come le più dolorose, fino all’abbandono, alla morte. Fino alla risurrezione.

A volte nell’arte contemporanea la bellezza è ridotta ad un grido inarticolato, ma così si esprime nel modo più totale. Da a noi il suo Spirito.

Sembra morta, seppellita sotto la pietra del brutto. Ma il terzo giorno la tomba è vuota. Qualcuno ci dice che è risorta e che ci aspetta.

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Cammina con noi. Ci parla. Il cuore ci arde in petto. Si fa tardi. La fermiamo a cena, ma gli occhi si aprono nel momento che sparisce. La bellezza risorta non appare mai: sparisce, si nasconde nell'anonimato dell'uomo qualunque, nel banale, nel quotidiano. Il sole tramonta, lasciando posto alla luna, Maria, riflesso della bellezza risorta, sempre presente lì dove la bellezza è sparita, per guidarci a lei.

La bellezza è sulla riva del lago, irriconoscibile. Un occhio puro l'intuisce e ci apre gli occhi. Ci buttiamo nell'acqua, e la bellezza nutre la nostra mente e i nostri sensi, col pane cotto sulla pietra calda.

Ma non quella tutta fascinosità, la bellezza leccata, seducente, sdolcinata fino alla nausea, profumata come un fiore velenoso, eventualmente pia come un baciapile, in verità luciferina perché non incarnata.

La bellezza è forte, ardita, coraggiosa, paziente, non si fa valere, non si prostituisce. Può apparire agli occhi di tanti disarmonia, cacofonia, buio, perché, nella sua gloria, porta le sigmate della passione e della morte.

Olivier Messian

Quatuor pour la fin du temps, quinto movimento, "Louange à l'éternité de Jésus". Scritto e interprettato per la prima volta in un campo di concentramento durante l'ultima guerra. (Alessandro Capella, pianoforte, e Sophie Rossé, cello.

Terza parte

Arte in comunione

Una conseguenze del carisma dell'Unità, molto sentita dagli artisti, è un arte nuova, un'arte ideale. Anzi certe espressioni di Chiara facevano intravedere un legame intimo - quasi identificazione - tra bellezza e verità, tra anima dell'artista e anima del santo... che chiederebbe una riflessione approfondita.

A questa grande speranza di un'arte ideale corrispondeva, in diversi artisti, un'uguale insofferenza davanti a quello che potesse apparire come arte ufficiale.

D'altronde, l'idea dell'eccellenza di un lavoro artistico con Gesù in mezzo, era usata certe volte per esercitare un controllo, per non dire una censura, da parte di chi - artista o non - pensava di averne il diritto o il dovere.

Dimensione individuale e collettiva dell'ispirazione

La posta in gioco è altissima. Non si tratta solo di lavoro in équipe: in questo senso ogni attività artistica richiede unità. Nell'elaborazione di certe opere tanti artisti sono coinvolti necessariamente in esperienze che assomigliano a quelle più forti della vita dell'Ideale.

Credo che la pietra di paragone sia l'ispirazione artistica. Se esiste nell'arte qualcosa di personale, di solitario, di sacro, è proprio l'ispirazione. Quando l'artista è ispirato, la sua opera è una sorpresa per lui, prima ancora che per il pubblico. E' lui il primo sconcertato, il primo sconvolto, dall'audacia di quello che sta creando. Ha bisogno di coraggio, di forza, per non accontentarsi di quello che già sa fare, che già è riconosciuto come bello dal pubblico. La sua solitudine è estrema. E' l'ispirazione che lo sprona per la sua evidenza. E tante volte la scelta è eroica.

Parlando della vita spirituale, Chiara ci ha spiegato che Gesù in mezzo a noi è l'alto parlante di Gesù in noi. L'artista che fruisce della presenza di Gesù tra quelli che si amano, sperimenta l'amplificazione della sua ispirazione artistica. Distingue meglio la novità, trova la forza di crederci e il coraggio di buttarsi a crearla con la sua arte.

Dio Bellezza parla a tanti, ma pochi sono grandi abbastanza da infondere nella loro arte la sua esigente novità. Non tutti siamo Picasso o Stravinskij, Joyce o Fellini. Se Gesù tra noi sarà altoparlante di Dio Bellezza, penso che anche noi, piccoli, avremo l'ispirazione, la forza e il coraggio della novità.

Dori

Ho avuto la fortuna d'essere responsabile della zona del Belgio insieme con Dori. Ero giovane, all'inizio della vita ideale, lei mi faceva uguale a sé, rispettava in modo esemplare ogni idea, che poi con lei magari si rivelava essere un'ispirazione.

Alcuni giorni fa mi ha confidato che dopo momenti d'unità, dove avevamo affrontato problematiche della zona, certo non dell'estetica, lei si sentiva portata a scrivere poesie e pensava che io avrei dipinto. Non avevamo messo Gesù in mezzo a noi per dipingere o scrivere poesie, sarebbe stato strumentalizzarlo, e tutto sarebbe morto; ma lui in mezzo a noi ispirava non solo decisioni per la zona, ma, perché avevamo un talento artistico, ispirava a Dori poesia, e pitture a me.

L'Ideale alla perfezione

Vorrei la luce anche nella sala per vedere il pubblico.

Qualche mese fa, è venuto in mente a Chiara di incontrare il mondo dell'arte. Ha scelto personalmente le date di questo convegno, per parlare lei stessa di Dio Bellezza. Ha dato le grandi linee del programma, scelto le conferenze, e certi contributi artistici. Voleva che fosse non un congresso sull'arte, ma un congresso d'arte.

Mi sembrava importante. Tante volte nel passato l'arte è potuta sembrare trascurata o addirittura ostacolata, per lasciare posto a cose più serie, più ideali. "Impara l'arte e mettila da parte", si sentiva dire da persone peraltro molto sagge. Il detto non era citato nel senso di essere al di là della tecnica per accedere alla vera creazione, ma di rinunciare all'arte, considerata un impedimento nella sequela di Gesù. Sapevo d'artisti non capiti, e senza posto nel Movimento. Chiara soffriva di questo e voleva che gli artisti si trovassero a loro agio nell'Opera.

Per accennare solo ad uno, avevo vissuto l'ultimo periodo della vita di Mario Pardi. Uno dei primi Gen, che, come altri della sua generazione, messo in mora di scegliere tra il teatro e i Gen, per essere fedele al carisma di Chiara, che lo sproneva non a fuggire il mondo ma invece a testimoniare il suo Ideale sui palchi, aveva lasciato i Gen. Solo con altri soli, attratti come lui dalla nostalgia dell'unità, aveva vissuto un'intensa creatività artistica tutta intrisa dell'Ideale.

Mi ricordo le ore passate nella camera d'ospedale, quando Mario, con un filo di voce, ma con un'energia e una convinzione incredibili, recitava in playback il suoi geniali pezzi teatrali, che vedevamo insieme al video. Mi affidava la sua opera artistica in quanto rappresentante di Chiara. Voleva che tutta questa bellezza tornasse alla fonte donde era scaturita. Mi affidava gli artisti che, fuori dell'Opera o dentro, vivevano l'Ideale nella loro arte, e pativano.

Offriva queste giornate, le ultime, per il Centro Maria nascente. Viveva per il prossimo incontro di Folgaria, e registrò un messaggio agli artisti, che sentirete domani.

Chiara ha telefonato con Mario, un giorno prima della sua morte, e l'ha accolto ufficialmente nel focolare, secondo il suo desiderio più caro. Attore, regista, commediografo, e focolarino a tutti gli effetti.

A pasquetta sono passato nel cimitero di Loppiano, dove è seppellito, per mettermi d'accordo con Mario Pardi in vista di questo convegno.

Secondo me, se ci siamo riuniti oggi attorno a Chiara, lo dobbiamo in gran parte a lui, e a tanti di voi, che, grazie a Dio siete vivi e vegeti. Avete sofferto, avete pazientato o vi siete ribellati, vi siete magari allontanati, può darsi giudicando l'Opera - e chi vi giudicherà per questo? - ma oggi siete qui. Oggi siamo qui. Abbiamo ascoltato Chiara, e vogliamo rispondere alla sua sfida.

Ogni novità si paga. Il 4 marzo 1999, ho scritto a Chiara: "Se credi opportuno e possibile per te, ti sarei molto grato di poter incontrarti. Sento dire che non condividi la mia esperienza artistica nell'Ideale. Puoi immaginare che per uno che da quarant'anni cerca con tutto il cuore, la mente e le forze, di capire e di vivere quello che il carisma tuo porta nell'arte, è importante sentirlo dire da te personalmente, e non da terzi.

Se fosse proprio così come mi è stato fatto capire, non nascondo che ne proverei un indicibile dolore, nonché un gran turbamento al pensiero d'innumerevoli artisti dell'Opera che vedono nella mia esperienza una speranza per loro."

Subito Chiara mi ha chiamato, e abbiamo chiarito ogni malinteso senza difficoltà. Abbiamo parlato di diversi argomenti che sono entrati nel suo discorso d'oggi.

Ad un certo momento ho detto: "Quest'incontro é importante per me. E' da trentanove anni che l'aspetto". E Chiara: "Ah, sì?". Ho raccontato quello che sapete. E Chiara: "E non ci siamo mai più visti?". Io: "A dire il vero, immaginavo che sarebbe stato prima, però aspettavo quest'incontro senza fretta, pensando che dovesse avvenire al momento giusto". E Chiara: "Il momento é venuto. Vedo tanti segni che mi fanno pensare che il momento é venuto per questa terza fase che chiamiamo di Hollywood.

Tanti, come te, hanno aspettato con fedeltà, altri avevano più fretta. Magari sono fuori dell’Opera. Magari da fuori giudicano l’Opera. Però bisognava aspettare. Adesso siete maturi nel vero e nel bene. E' venuto per voi il momento di dare il bello".

Oggi abbiamo sentito quanto Chiara si aspetta dagli artisti. Si tratta di attualizzare una terza fase dell'Opera. Pensate! la prima volta che Chiara ha intuito che ci sarebbe stata una terza fase dell'Opera, è stato il 22 Gennaio 1955.

Diceva: " Verrà una specie di Hollywood, che è il Mondo, una specie d'altra città che rappresenta il mondo a doversi fondere in unità con Assisi e con Parigi; e pazienza lo studio! che è sempre una cosa ancora pura, intellettuale, bella, fatta anche da tanti sacerdoti, ma quando viene il mondo con tutti i suoi divi e le sue dive, con la sua eleganza, le sue mode, i suoi gusti, le sue scienze, la sua letteratura stupida, ecc., tutte queste cose qua, l'arte, i balli, le danze, e dovremo fare unità anche con tutta questo! E dobbiamo farla. Ah, che fusione meravigliosa: Assisi, Parigi, Hollywood! Certo, viene fuori l'Ideale alla perfezione, quello che al mondo proprio va a genio."

La perfezione dell'Ideale. Questo Chiara ci affida. Niente di meno! La sua perfezione, perché è l'incarnazione, cioè il più grande amore portata alle sue ultime conseguenze, fino ai divi e alle dive, all'eleganza, le mode, i gusti, la letteratura stupida, i balli, le danze… Farsi uno in tutto, fuorché nel peccato! Chiara ci sfida, ci affida il suo Ideale, per portarlo alla perfezione.

Dio è Verità, è Bene, ed è Bellezza.

La porta della verità, per i nostri contemporanei s’apre alle volte difficilmente, perché hanno un senso innato dello scetticismo.

Accedere a Dio dalla porta del bene è più difficile di una volta: "Sì, Dio è buono, egli è troppo buono per me. Non sono capace di fare il bene."

Un Dio perfetto ci scoraggia, e un Dio vero ci oltrepassa. Se entriamo dalla porta del bello, ogni resistenza cade. La Bellezza è la porta verso Dio per l’uomo contemporaneo.

Ma Dio è uno, chi incontra la bellezza, col tempo, o nell'eternità, troverà il vero e il bene.

Senza gli artisti, la porta resta chiusa. Siamo noi i professionisti della bellezza. Diversamente, altri, senza talento artistico, sarebbero costretti ad improvvisarsi artisti, e a creare una pseudo arte ideale. Che tristezza!

Chiara si fida di noi. Vogliamo sviluppare l'Arte in comunione? La comunione delle Arti? La comunione nel lavoro artistico? L'unità tra gli artisti?

Ho chiesto a Chiara quale sarà il prossimo passo. Mi ha detto che, come nasce una corrente di pensiero politico e il Movimento dell'Unità, come nasce una corrente di pensiero economico e l'Economia di comunione, così gli artisti troveranno il modo per non essere più isolati, e che rifletteranno sull'estetica dell'Arte in comunione.

Quando ero giovane, sognavo una famiglia spirituale d'artisti, ma Gesù mi chiamava ad una famiglia spirituale universale. Oggi questa famiglia inizia una terza fase della propria storia. Sente la vocazione specifica di dare bellezza al mondo.

Dopo tanti anni consacrati a volere bene, e poi a volere vero, eccoci tutti insieme artisti e non, chiamati a volere bello! A fare bellezza. A fare unità non solo di carità e di verità, ma di bellezza. Tanti dialoghi quasi impossibili sul piano della dottrina o dell'etica, sono già in atto su quello della bellezza. A me pare il centuplo, promesso a chi abbandona tutto per seguire Gesù!

Io ci sto.

E voi?

Michel Pochet