Michel Pochet
La responsabilità sociale dell'arte
ossia
Il mondo dell'Azzurro
Unico paese senza esercito
Cari amici. Eccomi giunto nell'unico paese senza esercito. L'unico paese dove
è presa sul serio la fraternità che, oltre alla libertà
e all'uguaglianza, i miei antenati hanno scelto come motto della Repubblica
francese. Purtroppo dopo due secoli la fraternità rimane un lontano orizzonte
dell'umanità. Una meta quasi irraggiungibile. Anzi per tanti un pericoloso
sogno. Ma ci voleva un popolo che avesse il coraggio profetico di affermare
in modo radicale la sua convinzione nella fraternità. Grazie dal cuore
di essere stato quel popolo!
L'occasione di visitare il vostro paese mi è data da queste conversazioni
che amici imprudenti hanno organizzato. Spero di non fargli fare brutta figura.
Non sono un conferenziere, ma un'artista. Il mio modo di comunicare è
l'immagine più che la parola.
E' per me un raro privilegio prendere contatto con l"intellighenzia"
di questo paese. Vorrei ascoltarvi più che parlare. Invece devo parlare
e farò del mio meglio credendo che se qualche idea mia può avere
interesse la capirete al volo indipendentemente dalla scarsità retorica.
So per lunga esperienza che ascoltarsi reciprocamente è sempre arricchente.
Una nazione i cui eroe è un poeta
Esiste un altro paese per il quale ho un'ammirazione particolare: la Slovenia.
Un popolo che dopo secoli di oppressione, nel tanto atteso momento dell'indipendenza
ha scelto come festa nazionale l'anniversario della morte di un poeta e la celebra
senza sfilata militare, senza carri armati ne caccia a reazione, ma distribuendo
in presenza del Presidente della Repubblica, del Governo e del Corpo diplomatico,
dei premi ai suoi migliori pittori, scultori, musicisti e poeti, un tale popolo
anche numericamente esiguo è un grande popolo. E così un popolo
che sceglie come inno nazionale una poesia di questo poeta, non una poesia dagli
accenti marziali, ma un grazioso brindisi
un canto per bere che esalta
la fraternità universale, un tale popolo, secondo me, è il primo
di tutti sulla via che un giorno o l'altro - lo spero e lotto per questo - tutti
popoli finiranno per prendere.
E' dalla Slovenia appunto il primo esempio che vorrei parteciparvi attraverso
un breve filmato.
Il bello a portata di mano
Ho avuto l'onore di incontrare Lado Smrekar e di sentire dalla sua bocca questa
storia. Quando nel 1956 fu nominato preside della scuola elementare di Kostanjevica
fu sconvolto dalla miseria nella quale viveva quella gente e si chiese cosa
potesse fare.
Si confrontò con la moglie e decisero insieme di portare nella scuola
alcune loro litografie. La loro idea era che la prima cosa che bisognava dare
a questi bambini era un contato diretto con la bellezza. Amici artisti si entusiasmarono
per la loro iniziativa e dettero incisioni, pitture e sculture per la scuola
dando inizio ad una delle maggiori raccolte d'arte contemporanea del paese.
Ancora sempre per incoraggiare la creatività dei suoi allievi e la vita
culturale del borgo, Lado Smrekar è stato all'origine di una compagnia
teatrale e della rinascita di una grande abbazia cistercense la cui demolizione
iniziata da Napoleone fu portata a buon fine da Tito. Adesso è uno splendido
museo che conserva 3500 opere d'arte. Il parco dell'abbazia è un museo
di sculture all'aria aperta.
Nel frattempo Kostanjevica, grazie all'educazione alla bellezza impartita da
Lado Smrekar ai suoi piccoli allievi, è diventata una cittadina elegante
- gremita di turisti - un centro culturale animato, ricco di prospere gallerie
d'arte. Ma la scuola elementare rimane quel luogo mitico dove la bellezza è
a portata di mano.
Un figlio di Lado Smrekar è direttore del Museo nazionale d'arte moderna
della Slovenia, e un altro è direttore del Teatro nazionale dell'opera.
La metafora della Luce
Vorrei azzardarmi con voi ad usare la metafora della luce e dei colori per
proporvi una visione estetica della realtà. Sarà perché
sono pittore? Questa metafora mi sembra chiarissima e molto chiarificante.
Non l'ho inventata io, ma una donna italiana che ha dedicato la sua lunga vita
alla fraternità universale: Chiara Lubich. Tra i numerosi riconoscimenti,
ha ricevuto il premio dell'UNESCO per l'educazione alla pace, e il Dottorato
Honoris Causa in Arte dall'Università di Maracaibo. Pace e arte
siamo in tema.
Chiara Lubich usa la metafora della luce e dei colori per illustrare una visione
unitaria della vita personale e di quella sociale, allargandola al pianeta con
i suoi continenti colorati.
A dire il vero, usando questa metafora, Chiara non è in cattiva compagnia
se si pensa che la prima Alleanza biblica è sigillata dall'Arcobaleno,
che il prologo del Vangelo di Giovanni dice che la Luce è venuta nel
mondo (ma precisa che il mondo non l'ha compresa), senza parlare del poeta tedesco
Goethe, del compositore russo Alexander Skriabin o del pittore russo Kandinskij
che si sono sbizzarriti a studiare la luce e i colori nella prospettiva filosofica
musicale e estetica.
Chiara propone una visione panoramica dell'intero orizzonte della realtà. Guarda dall'alto, dall'Uno. La luce, quella che non si vede, ma che fa vedere tutto, è una. Bianca. Passando attraverso un prisma la luce bianca si distingue in un gran numero di colori che in Occidente siamo abituati a contare secondo il numero che diciamo perfetto di sette. Seguendo questa tradizione Chiara spiega la realtà (spiega nel senso di dispiegare, di aprire come un ventaglio) secondo sette colori.
L'Azzurro
Non è il caso qui di farne la rassegna. Mi limiterò all'Azzurro:
per Chiara il colore dell'arte e del sociale. Ogni "colore" contiene
diverse sfumature, che nel caso dell'Azzurro possono essere chiamate Armonia
e ambiente o Armonia sociale e Mondo dell'arte, ma il fatto che Chiara le veda
in un solo fascio di luce azzurra, non è indifferente. È un particolare
della visione prismatica della realtà illuminata dalla luce bianca, che
è la luce dei cosiddetti Universali: la luce della Verità, del
Bene e del Bello. In questa visione le sfumature come armonia e ambiente, armonia
sociale e mondo dell'arte, sono sfumature dell'unico Azzurro. Sono sfaccettature
della realtà strettamente collegate tra loro.
Aspetti della vita personale o della società che sono generalmente capiti
e vissuti come diversi, o addirittura contraddittori, hanno per Chiara un'indivisibile
unità. Sono contenuti l'uno nell'altro, si spiegano l'uno con l'altro,
hanno senso l'uno per l'altro. Questa prospettiva che risolve le dialettiche
senza negare le distinzioni, è simile ad una quarta dimensione della
realtà nella quale tutto si semplifica, si chiarifica perché osservato
da fuori, come lo esige uno spirito scientifico. Nella luce bianca, nella prospettiva
della quarta dimensione, si può contemplare l'architettura, la struttura
intima della realtà: l'armonia, là dove prima non si vedeva che
il caos e il conflitto.
Fratelli senza un padre?
Sento che mi sono spinto più di quanto pensassi e che sto per pronunciare
una parola che può essere tabù in ambiente accademico.
Ma come si può parlare di fraternità universale, o se vogliamo
di famiglia umana se non esiste una paternità che ci fa tutti fratelli?
Un'istanza fuori di noi che garantisca la libertà e l'uguaglianza di
tutti nella fraternità, l'unità e la diversità della famiglia
umana?
Mi sia consentito dunque di non fare mistero della mia fede e di quella di Chiara
Lubich. Si, con tutte le difficoltà del mondo e dubbi perenni, credo
nella fraternità universale, agisco per farla trionfare, e per questo
credo nel Dio che si è fatto uomo per farci fratelli.
Nella luce azzurra l'Umanità si mostra come un Corpo le cui membra sono
articolate l'una nell'altra in modo armonioso. Si tratta di relazioni sociali,
non di anarchia; di un'assemblea ordinata, non di una folla anonima; non di
massa ma di popolo.
E le membra di questo corpo sociale non sono angeliche, ma esseri corporei perciò
si vestono, abitano case, città, formano società, compongono popoli.
Questa prospettiva terrestre, umana e sociale del Vangelo determina un'estetica
che possiamo definire squisitamente evangelica: quella dei Gigli dei campi e
degli Uccelli dell'aria; quella del Centuplo e della Provvidenza, perciò
un'estetica nello stesso tempo economa e generosa, precisa e senza schemi, ordinata
e festosa.
Diritto alla Bellezza
Nella visione "normale" delle cose, il sociale si occupa dei bisogni
primari dell'uomo, dell'indispensabile, e spesso è contrapposto all'arte
percepita come un lusso, un superfluo, riservato ad un'elite.
Reclamo il diritto di tutti alla bellezza. La bellezza democratica. Chi difende
i proletari della bellezza?
L'industria produce per le masse i così detti beni di consumo che pubblicità
fa comprare massicciamente. Refrigeratori futuristi, maniche di porta minimaliste,
telefoni costruiti attorno a te, insalatiere aerodinamiche, bottiglie di detersivo
sexy, vasetti di yogurt post moderni, senza parlare delle confezioni, buste
per le spese e quant'altri imballaggi da collezione, tutto diviene oggetto del
design. Ma in questa estetizzazione ad oltranza, la bellezza ci si ritrova?
Si prostituisce la bellezza estetizzando tutto. Siamo soprafatti da una bellezza
"usa e getta" che riempie i supermercati, svuota le nostre menti oltre
che le nostre tasche, e finisce miserabilmente nella pattumiera.
La più bella tovaglia
Sono convinto che le opere sociali che meritano questo nome si caratterizzano
per la loro valenza estetica, e che l'Arte con l'A mjuscola è sociale
per natura.
Cito sempre un fioretto dei primissimi tempi del Movimento dei focolari, fondato
da Chiara Lubich in piena guerra mondiale: si racconta che durante i bombardamenti
Chiara e le sue prime compagne leggevano il Vangelo nei rifugi alla luce di
una candela. I versetti che parlavano dell'amore si illuminavano ai loro occhi,
e subito li mettevano in pratica.
Per illustrare questa messa in pratica dell'amore, si racconta tra l'altro che
Chiara invitava i poveri a mangiare a casa e che attorno al tavolo non di rado
si alternavano i poveri e le sue compagne. E il racconto prosegue sottolineando
che in queste occasioni si usavano la più bella tovaglia, le più
belle posate. I poveri erano trattati come ospiti d'onore, e non certo come
dei bisognosi di "carità".
Magari c'era poco da mangiare, ma era un banchetto tutto immerso in un'atmosfera
di bellezza. Era una festa. Il povero era un VIP che si accoglieva con tutti
i riguardi, perché la sua presenza era un onore. Non era un assistito
che si aiuta per sacro, ma anche austero, dovere di carità.
Chiara non ha messo su una mensa popolare, opera sociale necessaria in quel
tempo, e che altre buone volontà hanno certamente realizzato. Chiara
invitava i poveri a casa sua per un pranzo di festa, che ridava a queste persone
l'autostima messa a repentaglio dalla situazione di dipendenza. E penso che,
con la dignità ritrovata, tornavano anche le idee e la forza per sovvenire
ai propri bisogni e a quelli della famiglia.
Anch'io mi ricordo, ho frequentato una mensa popolare con i miei genitori proprio
nel 1943, dopo il bombardamento della nostra città, ma non credo fosse
una grande gioia per mio padre essere costretto a ricevere da mangiare dall'assistenza
pubblica.
Kosovo
La mia convinzione che le opere sociali nate dalla fraternità hanno necessariamente
una dimensione estetica, è stata rinforzata in occasione di un incontro
di giovani in Germania dove mi era chiesto di parlare della bellezza. Ogni giorno
presentava una tematica d'ordine spirituale corredata da testimonianze dei giovani
stessi. Quel giorno era consacrato al mistero della sofferenza, specie della
sofferenza innocente, e due ragazzi Albanesi davano la loro testimonianza ancora
fresca fresca dell'accoglienza dei rifugiati Kosovari.
Seguendo, con i giovani, questo programma così impegnativo, mi venne
una profonda perplessità. Come parlare d'arte e di bellezza, cioè
di cose apparentemente "futili", in un contesto così serio?
Mi sembrava una stonatura. Poi, ripensando ai ragazzi Albanesi, mi sono rassicurato.
La loro testimonianza era stata forte, commovente, travolgente, in qualche modo
violenta.
Avevano contestato con lucidità e precisione gli aiuti internazionali
buttati dagli aerei sulla gente, senza rispetto, disumani, al contrario la loro
era stata un'accoglienza attenta ad ogni persona, rispettosa, sorridente, festosa,
alla quale i Kosovari, ormai rasserenati e diventati amici più che debitori,
avevano risposto con una cena tipica del loro paese e canti e balli folcloristici.
La festa è del registro del bello. Tutta l'esperienza di questi Albanesi
che prima mi sembrava così sociale, così etica, mi appariva ora
squisitamente estetica. Questi ragazzi senza saperlo erano stati testimoni del
bello.
Voler bello
La dimensione estetica delle opere sociali non è sempre messa in luce,
non è sempre cosciente in chi le fa, perché si pensa prima di
tutto a voler bene alla gente, ma l'amore non è solo un voler bene, é
anche un voler vero e un voler bello.
Delle opere potrebbero essere necessarie, giuste e meritevoli, ma non degne
della fraternità universale, e bisognerebbe, in qualche modo, dare loro
anche la dimensione estetica qualora mancasse, per amare tutto l'uomo e non
una parte di esso. Il bene comune riguarda tutto l'uomo e tutti gli uomini.
Non dubito che i loro promotori lo farebbero con entusiasmo, perché il
loro impegno sociale diventerebbe così più coerente con la loro
vita interiore e perciò perfino più gratificante.
Dare speranza
Un'esperienza fortissima a proposito dell'Azzurro è stata un viaggio
che ho fatto nell'estate 2002 in Argentina, in occasione di un convegno di artisti.
Invitandomi, gli organizzatori mi avevano comunicato il tema del convegno: "Dare
speranza". Mi sono chiesto cosa loro intendessero con "Dare speranza".
Mi sembrava che - in una situazione così drammatica socialmente, economicamente
e politicamente come quella dell'Argentina di allora - i primi a soffrire e
a disperarsi avrebbero dovuto essere proprio gli artisti, che morivano letteralmente
di fame. Ridare speranza agli artisti era perciò molto importante!
Mi sembrava pure che, una volta ritrovata la speranza, gli artisti sarebbero
stati i primi capaci di ridare speranza alla società. Sono convinto che
la natura stessa dell'arte è dare speranza. E non ci vogliono tanti mezzi
per dare speranza, basta che ci siano artisti autentici. Se ci sono mezzi
tanto meglio! Ma i veri artisti, possono esprimersi e dare speranza anche con
pochi mezzi, perché appunto è la loro vocazione.
Il coraggio della novità
La mia riflessione sull'Azzurro si è sviluppata in quel convegno, e poi
in tutti gli incontri che gli artisti mi hanno invitato a tenere in tutta l'Argentina.
Il discorso cresceva, diventava sempre più completo.
Si capiva per esempio che l'artista e abituato a vivere con la novità.
La novità fa paura. In questa situazione di crisi, i politici e gli economisti
ripresentavano sempre le stesse formule, non cambiavano mai discorso, come se
non ci fossero altre possibilità. Non riuscivano a guardare altrove.
Sembravano ipnotizzati, istupiditi. Invece ci saranno state altre possibilità!
Ma non le guardavano. Avevano paura della novità.
Anche gli artisti hanno paura della novità, ma sono abituati a convivere
con essa: l'arte esiste solo con la novità, non è mai plagio di
altri o di sé stessi. Allora mi sembrava che questa era una delle cose
che gli artisti potevano dare al sociale: avere timore della novità,
ma convivere con essa. Avere il coraggio della novità.
Investire nei cinque sensi
Non solo. Contrariamente a quanto si pensa, l'arte è essenzialmente concreta.
Gli artisti trasformano subito la novità contemplata nella mente in novità
concreta, in opere, in azioni che possono coinvolgere la gente in modi insospettati.
Un esempio tra tanti: una donna anziana in ospedale è stata operata.
L'intervento è riuscito. Clinicamente è guarita, ma probabilmente
questa donna morirà, perché non ha più voglia di vivere.
Se qualcuno la veste in modo elegante, la pettina, la trucca, la fa sentirsi
bella nella sua pelle, vivrà! Ma in quale ospedale c'è un parrucchiere,
una sarta, un'estetista?
Idee come queste sono state accolte con grande entusiasmo, sia dagli artisti
argentini sia da altre persone che non prevedevo di incontrare in questa tournée
argentina. Infatti, a Rosario come poi a Mendoza, ho passato ore interessantissime
con imprenditori coi quali il discorso inevitabilmente si spostava appunto verso
l'economia e il lavoro, senza però discostarsi dall'estetica, o per lo
meno dall'Azzurro.
Guardata nella luce azzurra, la Società moderna accusa un bisogno urgente
di professionisti della bellezza - non uso la parola artisti perché rischia
di fare paura. Bisogna riattualizzare antiche professioni dimenticate, e crearne
delle nuove. Bisogna creare imprese e posti di lavoro, investire in tutti sensi,
nei cinque sensi, voglio dire: la vista, l'udito, l'odorato, il gusto, il tatto.
La Bellezza eterna si fa conoscere da noi e ci chiede di amarla nei fratelli
attraverso tutti i sensi: lo dice Giovanni l'evangelista nel versetto primo
della sua prima lettera: "Quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto
con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno
toccato della Parola della vita
noi ve lo annunziamo." Giovanni è
pure quello che nel quarto vangelo racconta l'episodio del vaso di profumo costosissimo
che Maddalena versa sui piedi di Gesù, scandalizzando Giuda - il traditore
- perché vendendolo si sarebbe potuto fare
un'opera sociale: pagare
un anno di lavoro ad un disoccupato. Ma Gesù difende la Maddalena.
L'alfa dell'Umanità
Dobbiamo scoprire quanto la bellezza sia fondamentale. La vita veramente umana
comincia con l'esperienza cosciente della bellezza.
In paleontologia si ha la convinzione che i reperti siano da attribuire ad uomini
come noi, se mostrano una ricerca estetica. Trenta mila anni fa le pitture rupestri
esaltano già questo senso dei nostri antenati. Ma anche molto più
anticamente, le sepolture con resti di fiori dimostrano che allora esisteva
l'essere umano, nel senso che diamo oggi a queste parole. È misterioso.
È poco probabile, infatti, che avessero una fede religiosa simile alla
nostra, ma quello che non è dubbio è la dimensione estetica di
un rito ancora attuale, e che l'umanità faceva già ai suoi albori.
Nonostante la mancanza di testimonianze dirette, siamo certi che la danza, la
musica e tutte le manifestazioni della festa risalgono anch'esse alle origini
dell'umanità, senza dimenticare gli indumenti, gioielli, profumi, trucchi
e quant'altre armi della seduzione, comuni agli esseri viventi, vegetali o animali
che siano.
La bellezza in tante sue manifestazioni concrete è stata accaparrata
dai ricchi, ricchi di soldi o di cultura. Allora logicamente quando interviene
una crisi economica, la prima cosa che si fa, per una visione errata del sociale,
è di risparmiare sull'educazione e su quanto ha che fare con l'arte e
la cultura.
E' un tremendo controsenso perché l'Umanità comincia con la coscienza
della bellezza. È vero che la cultura e l'arte sono un omega dell'Umanità
nel senso che la bellezza non ha mai detto la sua ultima parola, e che ci sarà
sempre una novità da scoprire, una maturazione da fare; ma è più
vero che la bellezza è l'alfa dell'Umanità, e che un tempo di
crisi è il momento più giusto per investire in cultura e in arte.
La piazza di Tucuman
A Tucuman - bella città del nord argentino - mi è stato raccontato
che una coppia, vedendo lo stato d'abbandono della piazza del loro quartiere,
si è messa al lavoro coinvolgendo anche i vicini.
Hanno pulito il giardino, piantato fiori, ricostruito un'area di gioco per i
bambini, disposto delle panche per gli anziani (e gli innamorati). Insomma hanno
ridato bellezza a quello che è tradizionalmente il cuore della vita sociale
in ogni quartiere delle città argentine. Il Comune non aveva soldi per
la manutenzione, allora questi poveri (tanti erano poveri in quel momento in
Argentina) hanno messo in comune i soldi necessari per i lavori.
Nel frattempo si avvicinava l'elezione del Consiglio di quartiere. I vicini
hanno convinto la coppia di candidarsi perché dicevano: ci avete coinvolto
nel lavoro per la piazza, ma c'è ancora molto da cambiare nel quartiere.
Non potete abbandonarci. Questa coppia si è presentata e non solo è
stata eletta ma la giunta uscente, formata da dodici consiglieri, ha ottenuto
in tutto undici voti. Almeno uno tra loro non ha votato per sé, senza
contare le mogli, i mariti e i figli.
Questa storia veniva a confermare in modo puntuale che una vocazione sociale
e politica può nascere dal senso della bellezza, bisogno primario della
gente.
Il continente azzurro
Nella geografia di Chiara Lubich, il continente latino-americano è il
continente azzurro. E' il continente travagliato da disparità sociali
estreme, che gridano vendetta e ci spronano a dare la vita per una rivoluzione
sociale necessaria come ha descritto il bel film di Walter Salles "Diario
de motocicletta".
Ma nei miei viaggi in Brasile e ora in Argentina avevo incontrato così
tanti artisti e una vita sociale così fondata sulla bellezza - basta
pensare a cos'è la Samba per i Brasiliani e il Tango per gli Argentini!
- che è stato travolgente per me e per gli artisti che ho incontrato,
e anche per tanti altri amici, scoprire insieme che il loro era il Continente,
si, del sociale, ma anche del Bello, e che sarebbe stato effettivamente la Bellezza
a salvare il loro Mondo, e a iniziare una rivoluzione sociale.
Vorrei terminare con un altro fioretto colto a San Paolo, dove sono stato dopo
che in Argentina. Anche lì ho incontrato artisti ai quali ho partecipato
l'esperienza mia in Argentina.
Nello scambio successivo, una bravissima pittrice, Adriana Rocha, ha offerto
questa testimonianza: "Per tanti anni soffrivo di un certo complesso. Essendo
pittrice, mi sentivo poco "sociale". Ma la pittura era l'unico lavoro
che sapevo fare. Una volta, facevo un trekking in una delle zone più
povere del Brasile, dove vivono gli Indios respinti fin lì dalla colonizzazione.
Ad un certo momento, in piena foresta amazzonica, ho sentito una musica celestiale.
Ho seguito la musica e ho trovato un giovanissimo ragazzo che suonava in modo
veramente paradisiaco. L'ascolto, incantata, e gli chiedo come mai suona così
bene e lui mi risponde: 'I miei non hanno niente da mangiare, allora con la
mia musica do a loro nutrimento'.
Questo ragazzo ha guarito il mio complesso - ha concluso Adriana. Mi ha fatto
capire la mia vocazione di pittrice: con la mia pittura posso dare nutrimento
al mio popolo."
Quale lezione di umanità e di civiltà ci manda questo ragazzo
della foresta amazzonica, dal cuore del Continente azzurro!