Massimo Merighi

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L’artista di Dio

Considerazioni e appunti sull’identità dell’artista

Testimonianza e trascendenza.

"In tutto ciò che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c’è realmente la presenza di Dio. C’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza, religiosa. (Ecco quel che oggi non si sa più). Una melodia (…) testimonia quanto la morte di un martire". (Simone Weil)

Immaginare un artista "non credente" o "ateo" è praticamente un assurdo! Eppure per tanti, anche fra gli stessi artisti, ciò non è poi così tanto evidente.

L’uomo di oggi è arrivato a "perdere" Dio, quasi a poterne fare a meno, "liberandosi" da Colui dal quale ha voluto rivendicare la propria "autonomia".

Se ciò già stupisce quando si pensa a tutte quelle realtà umane che meno direttamente hanno a che fare con la trascendenza di Dio, ciò lascia ancor più increduli quando si pensa alla sfera artistica ed agli artisti in maniera più specifica.

L’artista, infatti, è qualcuno che in un modo del tutto particolare fa esperienza del trascendente. Egli può capire Dio, per esperienza, come nessun altro, eccetto i Santi.

Egli "crea" come il Creatore.

Egli "contempla" il Bello; quella realtà che coglie presente dentro di se e, contemporaneamente, assolutamente distinta da se.

Egli "genera" bellezza; come Dio, che è Bellezza, e che ha generato ogni bellezza, riassumendo tutto nel suo Verbo, la Sua più autentica "espressione".

"L’artista è in qualche modo simile al Santo" (Chiara).

Ora, in che maniera è conciliabile tutto ciò con la realtà di assoluto disordine e di disarmonia che affligge l’umanità intera e tutto il creato?

E’ impossibile resistere a questo forte contrasto armonia-male presente nel cuore di ogni uomo, particolarmente per un artista. Ciò potrebbe rappresentare una buona chiave di lettura per quella diffusa debolezza che in genere si riflette nella personalità degli artisti: Genio-sregolatezza (laddove per Genio si è spesso intesa la facoltà di cogliere qualcosa di Assoluto e di esprimerla nell’opera d’arte e per sregolatezza la difficoltà di esprimere tale contemplazione nella propria vita e nei rapporti sociali).

La difficoltà più comune di un artista consiste, infatti, nel constatare questo drammatico scollamento tra la vita di relazione (priva di ogni criterio morale) e quell’ideale di armonia sempre presente davanti ai suoi occhi.

Se a questo mondo è infatti difficile restare immuni dal male e non contaminarsi con esso (e per male può intendersi qualsivoglia compromesso nel perseguire l’armonia nei rapporti sociali), ciò diviene motivo di atroce sofferenza per tutti coloro che, come gli artisti, possiedono un senso così assoluto e trascendente della bellezza e dell’armonia, di cui sono testimoni con le loro stesse "opere".

Queste, difatti, esprimono la più bella delle creature di Dio: l’anima. Comunicando l’anima dell’artista, esse testimoniano al mondo ciò che non muore: quella realtà creata che, più di ogni altra, dice "l’Eterno".

L’artista, infatti, esprime nella propria opera qualcosa di se stesso. Questo "qualcosa", inoltre, cessa di appartenergli proprio a partire dal momento in cui, avendolo donato nella sua opera, creandola, lo "perde"; se ne distacca, lasciando in essa un po’ del suo "aroma".

La creazione artistica, pertanto, anche solamente da questo punto di vista, è un dono: un atto d’amore. Come avviene per un padre ed una madre che danno alla luce un figlio.

Essa, riflesso dell’anima, rende partecipe tutto il creato della propria eternità.

Una dinamica trinitaria

Come il Padre dà tutto se stesso al Figlio, essendo tutto intero nel Figlio, e così Questi, completamente dimentico di Se, è solo Pensiero o Parola del Padre; così l’opera d’arte, espressione dell’artista, esprime ("dice") l’artista, la sua stessa anima, il suo essere. Per questo motivo essa rimane eterna, sopravvivendo alla sua stessa morte, permanendo alla sua assenza, in quanto espressione di ciò che di questi non muore: della sua anima.

Contemplando le meraviglie del mistero trinitario ci appare come sia stato attraverso Maria che il Padre si sia donato agli uomini nel Figlio. Così come pure attraverso Maria il Figlio si è fatto dono per noi, "perdendo" in nostro favore il rapporto con il Padre e divenendone, così, l’espressione più pura; mostrandoci in Se il Padre stesso, in uno slancio d’amore infinito. E fu in quell’atto di espoliazione totale di se e di perfetta immedesimazione con la volontà del Padre, di cui la croce ed il grido di abbandono sono il culmine e la pienezza, che Egli portò il Padre in dono all’umanità intera e a tutto il creato; e ciò si rese possibile attraverso la desolazione di Maria (l’umanità redenta) ed il suo sì d’amore incondizionato.

Da questa "cesura" nel rapporto tra il Padre e il Figlio (lo S. Santo), che si compì nell’intimo di Maria, maturò per tutti noi il Dono di tale Realtà - fu in quel dolore che il Figlio effuse lo Spirito Santo, attraverso Maria, su l’umanità intera e su tutto il creato; fu in quell’attimo che Egli divenne compiutamente l’Immagine stessa del Padre. Fu così che, per amore, il Figlio si è scisso dal Padre e dallo Spirito, e l’eterna Parola attraverso Maria prese le fattezze carnali e spirituali della più bella fra le Sue creature, andando ramingo per quell’esilio terreno che ebbe come culmine la più obbrobriosa delle morti, sinchè non ebbe dato il frutto atteso da tutte le genti: la Redenzione, che proprio nella Madre Desolata ebbe il suo Fiore nel pieno compimento della sua parabola:

"La fioritura avvenne nella pienezza dei tempi. E l’unico fiore era Maria.

Il frutto che ne seguì fu Gesù.

Anche l’albero dell’umanità era stato creato ad immagine di Dio.

Nella pienezza dei tempi, alla fioritura, avvenne l’unità fra cielo e terra e lo Spirito Santo sposò Maria.

Abbiamo, dunque, un solo fiore: Maria. Ed un solo frutto: Gesù. Ma Maria, seppure una è la sintesi della creazione intera al culmine della sua bellezza, quando si presenta come sposa al suo Creatore.

Gesù invece è la creazione e l’Increato fatti uno: lo Sposalizio consumato. Ed Egli contiene in Se Maria come il frutto contiene il fiore. Quando il fiore ha fatto la sua parabola cade e matura il frutto". (Chiara Lubich: Maria fiore dell’umanità)

Così, analogamente, mediante la creazione artistica (- che raggiunge il suo pieno compimento attraverso la "separazione" dell’artista dalla propria "creatura" ed il vicendevole distacco di essa dal suo autore, laddove questa, resa autonoma, "distinta" dal suo creatore, diviene fedele immagine della sua anima -) matura per tutto il creato il dono della stessa "ispirazione" fecondatrice: e la Bellezza si fa dono, attraverso l’artista (come Maria), per tutto il creato.

In quest’ottica trinitaria, in questo processo di progressiva distinzione che è la creazione, e che culmina nel "distacco" - quando l’opera, dopo essere stata maturata in seno all’anima dell’artista, diviene "compiuta" - l’ispirazione gioca pertanto un ruolo fondamentale: è il Terzo fra i due. Bellezza (Padre) e Opera d’arte (Figlio) con l’Ispirazione (lo S. Santo - la Realtà di Bellezza che li fa Uno) sono una triade di cui l’artista (Maria) è il capolavoro, nel suo esserne Figlia, Madre e Sposa.

Si capisce come sia l’amore per la Bellezza a "lavorare" l’artista e far sì che questi colga, in tutta la sua compiutezza, unicamente quella "forma" che possa esprimere il Bello presente nella propria anima, trasfondendolo nella materia, creando l’opera d’arte. E si comprende come tale Ispirazione, che permette all’artista di cogliere la trascendenza dentro di se e di esprimerla, non possa che essere eterna e trascendente Essa stessa.

Alla radice di ogni vera opera d’arte v’è sempre infatti una Ispirazione che la fa essere tale. E’ lo S. Santo. E’ Lui che feconda l’artista, è Lui l’Armonia cui attinge ogni artista. E’ attraverso questo Amore, che conosce la Bellezza "dal di dentro", che il Bello prende forma in seno all’anima dell’artista e diviene Opera d’arte.

Vocazione mariana

Emerge così il Disegno, la "vocazione" dell’artista. Questi, come Maria, è il più grande "testimone" della trascendente Bellezza di Dio; colui che la genera a questa vita, per ogni uomo e per ogni altra realtà creata.

Egli diviene, come Maria (la Madre), madre di Essa, per amore di Essa. L’anima dell’artista appare così "disegnata" dal Creatore: Tota Pulcra, Madre del Bell’Amore. Innamorata di Dio, della Sua Bellezza, del Suo disegno, ne coglie (per quest’Amore) il Bello, che vede compiersi nel suo cuore verginale, tutto di Dio, tutto Bello. Così, quell’Amore Ispiratore che la unisce al Creatore (alla Bellezza) depone in essa l’Ispirazione, il Seme di Bellezza che assumerà le sue stesse bellezze, le sue stesse fattezze fisiche e spirituali, incarnandosi nell’opera d’arte. Così, l’anima dell’artista, baciata dalla Bellezza, concepirà la sua opera, che sarà la perfetta espressione del suo Ideale di Bellezza, della sua "contemplazione" - e per la redenzione operata dal Figlio su tutto il cosmo e sulla materia, l’opera d’arte diviene l’impronta di Dio Bellezza sulla terra.

Si comprende, quindi, quanto tale "realtà" non possa essere intesa in altro modo che nell’ottica soprannaturale, attraverso la Sapienza. Solo mediante essa l’artista può giungere a tale consapevolezza di se e ciò presuppone che Dio sia il suo "Tutto" e che questi sia "tutto intero" di Dio. Si comprende come diventi altrimenti inevitabile fraintendere una realtà così grande, correndo il rischio di idolatrarla e di perdere contatto con la reale dignità di tale disegno di Dio. Solo la Sapienza permette all’artista di entrare con tutto se stesso in quella Bellezza che tanto lo affascina, fino a farsi possedere da essa. Per questo motivo egli deve essere vergine, deve essere amore, deve lasciarsi assumere completamente in questo rapporto con la Bellezza, se non vuole "rimanerne fuori".

"La contemplazione provoca un "restare"… Il contemplativo è accolto dalle cose come uno che torna tra loro riconciliato; l’esteta non domanda di essere accolto, non è uno di loro… è conquistatore. Crede di vedere la bellezza, ma non la vede, perché non la possiede, non entra in lei. La vede con gli occhi ma non la vede con tutto l’essere. Per entrare dentro, per possedere bisogna essere disarmati, essere dei pacifici… Per essere accolti bisogna cominciare col riconoscere di aver perduto il diritto di stare a casa…

Il contemplativo è uno che si scopre contemplato… Possiede la bellezza chi scopre la sua vita personale dolorosamente carica di senso".

Il "brutto" e la Misericordia

Ci si può chiedere come mai le opere d’arte non necessariamente portino sempre con sé gli attributi della Bellezza di Dio. Ci si può peraltro domandare come mai per la maggior parte dei casi le opere d’arte non esprimano qualcosa di "positivo" in senso assoluto.

E’ vero, si conoscono esempi di talune opere che, esprimendo le meraviglie di un anima totalmente persa in quell’amplesso estetico che la unisce al creatore, sovrabbondano di tutti quegli attributi estetici caratteristici dei doni dello Spirito Santo (pace, gioia, festa, ecc.); esse sono eminenti testimonianze (palesi) della Bellezza di Dio.

Si conoscono invero altri esempi di opere d’arte che invece sono espressioni di anime "sospese", irrisolte, prive di quella luce soprannaturale che sa riconoscere l’Amore di Dio dietro ogni esperienza, addirittura spesso prive di quello stesso rapporto con Dio da cui solo può derivare ogni "soluzione". Sono espressioni dell’anima (abbandonata) dell’artista, che pur esprimendo questa sospensione, questa sensibilità cieca al soprannaturale, non possono non venire alla luce; non possono rimanere nel seno di colui che le ha viste concepire e svilupparsi in se e che "per sua natura" non può che "partorirle".

Il "brutto", pertanto, diviene arte. Nel nostro tempo (è questa la convinzione degli artisti contemporanei) non si riesce addirittura a concepire un arte che escluda il brutto ed è singolare che ciò sia emerso con tale evidenza proprio in un secolo come quello attuale che ha decretato e vissuto la "morte" di Dio. Orfani di tale Padre gli artisti hanno prodotto un arte "povera", "afflitta", "martoriata", "vittima innocente", "perseguitata", "offesa", e via di seguito con quanti altri attributi possano descrivere l’umanità della nostra epoca.

Senza per forza dover cercare tra gli esempi di arte contemporanea, possiamo peraltro trovare altri esempi di arte "irrisolta" in qualunque epoca. I limiti fisici dell’artista e della materia trattata hanno spesso fornito parecchi esempi di "debolezza" nelle opere d’arte di tutti i tempi. Il brutto non è solamente una prerogativa "moderna".

Qual è il punto di vista di Dio su tutto ciò?

Guardando a Gesù crocifisso ed abbandonato viene immediata una luce: la "materia" assiste alla proclamazione del Vangelo della Beatitudini (Beati i poveri, gli afflitti, i martoriati, le vittime innocenti, i perseguitati, gli offesi… ), che annuncia ad essa la gloria dei figli di Dio e la libertà dal potere della corruzione, la redenzione di tutto il Creato. Emerge il disegno di Misericordia di Dio, in cui l’Amore ha trovato una misura infinita per sovrabbondare con ogni Grazia, qualsiasi sia lo stato di Male di cui si è prigionieri. E "la Bellezza (in Gesù Abbandonato) si è fatta brutta per abbellirci" (Chiara, ’49).

E’ Maria, ancora, la Madre di tale Misericordia; è lei, la Desolata, che ci svela come ricapitolare nell’Amore ogni cosa e riportare alla Bellezza ciò che le appartiene, per aver pagato ogni bruttezza a tale prezzo.

Nella pienezza della sua vocazione, l’artista non ha più paura del brutto. Egli, come la Desolata, contempla in esso il volto del Figlio, in tutti gli orrori dell’umanità egli vede la bellezza del disegno di redenzione operato da Gesù Abbandonato.

"Dobbiamo renderci conto che il nostro sguardo deve essere quello di Dio e dobbiamo perciò vedere le cose come sono in Paradiso.

Il nostro sguardo deve essere la Misericordia,

Noi dobbiamo vedere in ogni cosa il suo "disegno" e dovremmo vederlo in un certo senso già realizzato, come lo vede Dio.

Il disegno di Dio sul mondo e su tutto è bellezza. E’ la Misericordia che vede la bellezza; è per la Misericordia che ciò che non è bellezza diventa bellezza.

Gesù Abbandonato ha fatto Dio ciò che non è Dio.

Come noi crediamo che un giorno vedremo tutto il nostro negativo ricamato dalla Misericordia di Dio e trasformato in Bellezza, così noi dobbiamo vedere tutto il negativo, il "brutto" che ci circonda, con questi occhi e credere che il nostro stesso sguardo potrà donare a questo la sua bellezza.

Dobbiamo perciò accogliere tutto col cuore di "madre" e vedere in tutto quanto c’è di inconcluso, deviato, disilluso un "figliol prodigo" e guardarlo con gli occhi del Padre che in quel volto sfigurato riconosce il Figlio e, accogliendolo, gli ridona la dignità e la bellezza.

E’ la Misericordia lo "sguardo" che salverà il brutto, e forse anche per questo il brutto salverà il mondo". (E. Pompili)

Così, pienamente consapevole del proprio ruolo nell’economia di Unità di tale disegno, l’artista diviene servo dell’umanità, fontana di bellezza per tutto il Creato. "O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente, comprate e bevete vino e latte senza denaro e senza spesa". (Is. 55,1)

Egli guarda ad ogni bruttezza con profonda gratitudine, per avergli donato l’occasione di essere "Madre della Bellezza", portando così la Redenzione su tutta la materia, restituendole gratuitamente la bellezza perduta.

"Tutta l’umanità fiorisce in Maria. Maria è il fiore dell’umanità. Ella, l’Immacolata, è il fiore della Maculata.

L’umanità peccatrice è fiorita in Maria, la tutta bella!

E come il fiore rosso è grato alla piantina verde, con le radici ed il concime che la fece fiorire, così Maria è, perché vi fummo noi peccatori, che costringemmo Dio a pensare a Maria.

Noi dobbiamo a Lei la salvezza, Ella la sua vita a noi.

Che bella, Maria! E’ la creazione che va in fiore, la creazione che va in bellezza. Tutta la creazione fiorita, come la chioma di un albero è Maria. Dal Cielo Dio s’innamora di questo fiore dei fiori, l’impollina di Spirito Santo e Maria dà al cielo ed alla terra il Frutto dei frutti: Gesù.

Per scendere Iddio dal Cielo doveva trovar Maria; Egli non poteva scendere nel peccato ed allora "inventa" Maria, che riassumendo in se la bellezza tutta del creato, "inganna" Dio e Lo attira sulla terra.

Ma Ella è Fiore dell’umanità e, chiamato Dio a sé, lo chiama per l’umanità, perché Ella è grata all’umanità di averle dato la vita". (Chiara Lubich: Maria fiore dell’umanità)

Così, la bellezza di Maria, nel sedurre Dio, seduce anche tutto il creato che anela ad essa, portandolo a Lui: "La bellezza seduce la carne per ottenere il permesso di passare fino all’anima". (Simone Weil)

Bellezza e Santità

Come per il sacerdote non è la santità di questi che determina quella del Sacramento che amministra (la cui santità è oggettiva); e così come è vero, però, che solo un sacerdote santo (santità soggettiva) può penetrare i misteri del disegno di Dio su di lui; così per l’artista non occorre che la sua vita sia tutta di Dio perché la sua opera sia un opera d’arte (la bellezza sta nella sua anima e nello sguardo di Dio su di essa, quale che sia il suo stato); è pur vero, però, che solo un anima di Dio può penetrare tale sguardo d’amore (santità soggettiva), lasciandosi rivestire da tale gratuita dignità.

Così, per l’artista, l’esigenza morale emerge quale conseguenza della Unità e della Verità stessa di Dio; diviene "impellenza" del Vangelo in lui:

Laddove, infatti, tale testimonianza di Bellezza (l’opera d’arte) si accompagna ad una vita di "santità" (testimonianza della Santità di Dio), come anche ad una vita di Carità (testimonianza dell’Amore di Dio) e ad una vita "Morale" (testimonianza della Verità di Dio), allora nell’artista vive l’Unità ed egli in Essa; Dio Uno e Trino dimora pienamente in Lui ed egli in Dio.

Allorquando la vita dell’artista non è espressione di tale Unità, è la sua stessa opera - espressione "intransigente" dell’Armonia, della stessa Bellezza di Dio - a rappresentare per lui occasione di continuo "scandalo"; evidenziando in lui questa schizofrenia, questa divisione interiore; è lei stessa a giudicarlo implacabilmente, mettendolo di fronte a ciò che dura in eterno, a ciò che non muore, alla sua stessa anima che, col suo solo esistere, lo richiama a Dio; mettendolo di fronte a ciò che è Eterno, Bello, Santo, Vero; di fronte al Vangelo dell’Amore.

Come può l’Armonia di cui egli è testimone non tradursi in vita: nelle relazioni sociali, come conseguenza ed espressione visibile del suo desiderio di corrispondere a Dio (Uno e Trino) ed alla sua Armonia (all’altissima Unità nei rapporti fra le tre distinte persone)?

Sarà questa Verità, "indirettamente" presente nella sua opera, che lo condannerà perpetuamente ad un giudizio severo.

Sarà invero lì, aperto a questo rapporto col Creatore - che per lui apre gli abissi e le voragini della Sua Misericordia - che l’artista, trovata l’Unità nella sua vita, con Dio e con ogni uomo, sarà pienamente Artista, pienamente "Uomo". Sarà lì che, lasciandosi "lavorare" dal suo Creatore, trasformerà tutta la sua vita in una grande Opera d’Arte, sanando tutte le relazioni ed i rapporti con ogni realtà del Creato, ritrovando nell’altro da se la consonanza con il proprio essere, che trova in Dio la sua Unità, per comporre, come in un "concerto", l’Armonia dell’universo, nella quale esaltare, in quell’Unità, tutte le distinte tonalità del Bello.

Sarà lì, dove due o più artisti si troveranno in questa Unità, in questa Voragine di Bellezza, sarà lì che la Bellezza stessa costruirà fra essi la propria dimora. E sarà Musica. Sarà un'unica Parola, un unico Amore, un'unica Bellezza, che in un unico Pensiero ed in un’unica Opera esprimerà il bello di tutti e di ciascuno, nella più alta distinzione e nella più perfetta Unità.

Massimo Merighi

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