Mostra a Caltanissetta

Alla presenza di numerosi cittadini, è stata inaugurata, lo scorso giovedì 23 maggio, presso la Cripta del Duomo di Caltanissetta, la mostra di pittura dell’artista Michel Pochet.

Nato nel 1940 in Provenza, Pochet si trasferisce giovanissimo a Parigi, dove si diploma in architettura, dipinge, scolpisce, scrive poesie, saggi e romanzi, in particolare sul rapporto tra Dio e Bellezza.

Michel Pochet oggi vive a Roma, dove ha fondato un centro artistico internazionale, il "Centro Maria", che promuove l’Arte in comunione, legato al Movimento dei Focolari, fondato nel 1943 da Chiara Lubich.

La mostra, visitabile sino a domenica 26 maggio 2002, è composta da 16 grandi tele policrome che, attraverso la rappresentazione di alcune "icone" dell’universo cristiano e cattolico - Gesù, la Santissima Trinità, il Paradiso, Maria, la Creazione, Lucifero, gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele - esprimono il mondo interiore, la ricerca artistica e spirituale dell’artista francese.

Le tele, o meglio i teli, leggeri, vissuti, austeri - come il saio indossato da San Francesco d’Assisi - scandiscono, nella penombra della Cripta, un particolare percorso simbolico, creano atmosfere, entrano in risonanza con le pareti e le volte dello spazio architettonico.

Le linee fluide, grafiche, i colori luminosi e intensi, le tessiture, il linguaggio figurativo e simbolico, definiscono lo stile e il modo di dipingere, di comunicare di Michel Pochet: una pittura di grande sintesi, in cui sono evidenti echi, suggestioni, riferimenti, all’espressionismo cromatico dei fauve, ma anche a forme recenti dell’arte contemporanea come la transavanguardia di Chia, Clemente, De Maria, Paladino.

Michel Pochet, con fascino e discrezione, ci ricorda - attraverso le sue opere, attraverso questa mostra semplice e preziosa, comprensibile ed eloquente - che la bellezza, la grazia, l’amore, la comunità, sono, devono rappresentare, valori essenziali, fondanti della nostra vita quotidiana.

Una vita, troppo spesso dispersa e confusa dietro ai falsi miti e ai falsi profeti di un esasperato consumismo, popolato da immagini effimere e ingannevoli.

Una vita troppo spesso subita, costretta dentro le stanze chiuse di anonimi condomini, o lungo le strade grigie della periferia e della solitudine.

L’amore per la vita, l’arte e la spiritualità vissute insieme agli altri, possono salvarci da tutto questo.

Leandro Janni

Estetica della Responsabilità

Caltanissetta 23 Maggio 2002 (testo distribuito)

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Il vero, il bene, il bello

Il Cardinale Danneels, arcivescovo di Bruxelles, durante un congresso d’artisti, ha detto testualmente queste parole: "Mi chiedo se il Bello non è la strada per eccellenza per trovare Dio. Dio evidentemente è vero, è buono ed è bello.

Anche se Dio è vero, non credo che i nostri contemporanei entrino facilmente per questa via. Siamo troppo poco interessati dal vero. La domando su Dio pertanto è importantissima, decisiva per l'Umanità e per il suo sviluppo.

La porta della verità s'apre alle volte difficilmente, perché i nostri contemporanei hanno un senso innato dello scetticismo. Che cos'è la verità? Siamo tutti dei piccoli Pilati che si chiedono questo. La verità non interessa in primo luogo, è inaccessibile, e quando qualcuno la trova è sospettato d’essere pretenzioso e arrogante.

Ora entrare da Dio dalla porta del buono e del bene è più difficile oggi: sì Dio è buono, anzi esso è troppo buono per me. Non sono capace di fare il bene, e l'etica è una porta difficile per aver accesso a Dio nei nostri giorni. Siamo profondamente convinti dall'esperienza, e anche un po' per paura, che siamo incapaci di vivere eticamente, moralmente. Un Dio perfetto ci scoraggia e un Dio vero ci oltrepassa.

Ma, se entriamo dalla porta del Bello, ogni resistenza cade. Provate con i giovani. Parlate a loro di Dio in quanto fonte del vero, della gran verità: tutti dormono. Parlate di Dio come esempio di moralità: sono tutti di cattivo umore. Ma mostrate che Dio è bello nella sua Bibbia, nella sua creazione, nell'uomo, nella coppia, in Gesù, nelle opere d'arte, nella storia dell'arte, nelle icone, nell'arte del rinascimento, nelle piccole chiese romaniche, mostrate loro il bello in Dio discendo che egli è la bellezza stessa, non affermo che si convertiranno tutti, ma almeno, non c'è resistenza."

In una successiva conversazione con il cardinale, si doleva perché la Chiesa non era preparata per mostrare la Bellezza di Dio, i sacerdoti non ricevevano nessuna formazione estetica nei seminari, quasi nessun teologo s’interessava a Dio come Bellezza. Aggiungeva che i misteri più sacri della nostra religione erano circondato di bruttezza anziché di bellezza. Liturgia, canti, oggetti di culto, paramenti, invece di testimoniare della bellezza di Dio, e di attrarre gli uomini d’oggi gli allontanavano da lui.

Nei primi anni sessanta, ancora giovane studente d'architettura, dopo la visita di una mostra prestigiosa au Palais de Chaillot a Parigi "Le Salon de l'art sacré", scrivevo nel mio taccuino da schizzi queste righe un po' pessimistiche ma che non hanno purtroppo perso niente della loro attualità:

"Ma perché le chiese devono essere così brutte, i praticanti così tristi, e le pie donne così male infagottate? Perché sacro è tanto spesso sinonimo di sdolcinato? Armonia, armonia, quali bruttezze si commettono in tuo nome! La sdolcinatezza è confusa con la dolcezza, la banalità con la misura, la simmetria con la composizione, l'enfasi con la dignità, la rigidità con l'ordine, l'inflessibilità con la nobiltà, la noia con la semplicità."

Soffro di non trovare bellezza dove più l’aspetto. Confesso che quando entro in una chiesa, non posso impedirmi di ristrutturarla mentalmente per renderla più conviviale, più dignitosa, più adatta al nostro tempo. Una chiesa non è il museo di capolavori morti, ma una casa di viventi.

Kosovo

Ma trovo la bellezza dove non avrei pensato. L'anno scorso sono stato invitato in Germania per parlare della bellezza ad una settimana d'incontro di giovani. Ogni giorno aveva una tematica di ordine spirituale corredata da testimonianze dei giovani stessi. Quel giorno era consacrato a Gesù Abbandonato, al mistero della sofferenza, e due ragazzi Albanesi davano la loro testimonianza ancora fresca fresca dell'accoglienza dei rifugiati Kosovari.

Seguendo, con i giovani, questo programma così impegnativo, mi veniva una profonda perplessità. Come potevo parlare di arte e di bellezza, cioè di cose "futili" in un contesto così serio? Mi sembrava una stonatura.

Poi ripensando ai ragazzi Albanesi mi sono rassicurato. La loro testimonianza era stata forte, commovente, travolgente, in qualche modo violenta. Contestavano con lucidità e precisione gli aiuti internazionali buttati dagli aerei sulla gente, senza rispetto, disumani.

La loro esperienza era stata tutta diversa, fatta di accoglienza rispettosa, sorridente, festosa. La risposta dei Kosovari era stata anche quella festosa.

La festa è del registro del bello, non del bene. Il bello è l'inutile indispensabile per sentirsi essere umani. Tutta l'esperienza che prima sembra così sociale, così etica mi appariva tipicamente estetica. Testimoniava quell'amore che più che volere bene vuol bello.

Questi ragazzi senza saperlo erano stati angeli del bello.

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L'Angelo del Bello

L’Angelo del Bello secondo me è San Michele. Michel, Michele vuol dire "chi come Dio?". Nelle tradizioni ebraica, musulmana, cristiana, si pensa che questo nome significhi che Michele sia capo degli angeli rimasti buoni, fedeli a Dio, mentre altri capeggiati da Lucifero, vinti proprio da Michele, cadono in inferno. "Chi come Dio?" sarebbe la sua identità, la sua missione.

Lucifero

Chi come Dio? a me piace pensare che sia la bellezza di Dio che Michele afferma con il suo come? L'argomento è debole, lo so, non pretendo dimostrare niente, ma solo comunicare un'intuizione. Comunque, l'Avversario di Michele in questo combattimento è Lucifero, il portatore di luce. Lucifero è l'angelo che più assomiglia a Dio. E' l'angelo bello per eccellenza, quasi bello come Dio. Lucifero è geloso della bellezza di Dio, al punto di rifiutare, secondo una diffusa Tradizione, l'Incarnazione che percepisce come un inquinamento di tale bellezza. Lucifero tradisce Dio per salvare contro Dio stesso la purezza della bellezza di Dio. Lucifero nella sua follia crede d'essere più bello di Dio. Ecco l'importanza del grido di Michele: chi è più bello del bello?

Nella tradizione cattolica latina, conosciamo tre arcangeli, Michele, Gabriele e Raffaele. Sono tre come i tre personaggi nei quali Abramo adora l'unico Dio, sotto la Quercia di Mambré. Sembrano uomini ma la tradizione vede in loro tre angeli.

Triade angelica

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Rublev ha interpretato iconograficamente questa pagina della Bibbia come una figurazione della Trinità. Sono tre angeli che personalmente identifico naturalmente con Michele, Gabriele e Raffaele. Se Michele è messaggero di Dio bellezza, Dio come fantasia, come evento, Dio Spirito Santo della Trinità cristiana, i due altri dovrebbero corrispondere alle altre due persone della Trinità. Infatti Raffaele - "Dio guarisce"- è l'angelo che accompagna il giovane Tobia nella sua ricerca di un rimedio per il padre, corrisponde a Dio che fa il bene. Nell'Antico Testamento, Gabriele - Dio forte - spiega un sogno a Daniele, nel Vangelo annuncia a Maria la nascita di Gesù, detta il Corano a Maometto: è l'angelo del vero, di Dio verità. Non vi sembra verosimile il mio "Angelo del bello"?

Ma come D'Artagnan è il quarto dei "Tre" Moschettieri, un quarto arcangelo - Uriele - completa la triade degli arcangeli. E' dimenticato dalla tradizione latina da un millennio - chi sa perché? - mentre gli ortodossi non hanno cessato di rappresentarlo nelle loro icone. Il suo nome significa fuoco di Dio, e la tradizione vede in lui l'angelo che dice a Mosè dal centro del roveto ardente: "Io sono colui che sono!" E' l'angelo di Dio Uno, di Dio Amore.

Contrariamente ad altre lingue, l’italiano, per dire "amare", usualmente dice "volere bene". Sapete quanto si perde? Sessantasei per cento dell’amore! Voler bene è un terzo dell'amore, trentatré per cento. Per amare al cento per cento, ci vogliono i trentatré per cento del volere bello, e il trentatré per cento del volere vero.

Amare non si limita a volere bene, a fare il bene. Bisogna anche fare il vero e il bello. Si parla correntemente di atti d'amore, ma nel senso di voler bene, fare del bene. Manca la dimensione della verità, cioè della curiosità, della scienza, e la dimensione della bellezza, del voler bello.

Un ragazzo innamorato non cerca tanto di mostrarsi più buono ma più bello, per piacere alla sua ragazza. Si veste all'ultima moda, si pettina con cura, scrive poesie, compone canzoni, osa portarle una rosa, magari rossa.

Il bene il vero e il bello non vanno presi separatamente, e, tanto meno, messi opposizione. Uriele ce lo ricorda. Sono strettamente solidali. Ognuno in qualche modo contiene gli altri due. Il bello non può mancare alla verità e al bene senza imbruttirsi. Il bene non può mancare alla verità e al bello senza andare a male. Il vero non può mancare al bene e al bello senza mentire. Ognuno portato al massimo della qualità propria - all'incandescenza di Uriele - coincide con gli altri due, senza pertanto confondersi con essi.

Bello troppo bello

La bellezza, dunque. Ma quale bellezza? Si confonde spesso e sempre più la bellezza con il piacevole. E' bello quello che piace a prima vista, a primo udito. E' tutt'oro quel che riluce.

Torniamo a Lucifero. L’angelo bello, il più bello, quello che più assomiglia a Dio stesso, si pensa. Tutto luce. C’è una curiosa confidenza di Santa Teresa d’Avila, specialista per eccellenza in visioni di Gesù. Un giorno Teresa ha una visione di Gesù, sempre la stessa apparizione che le parla. Invece, qualcosa in questa visione, quel giorno, non la convince. Capisce che sotto le sembianze di Gesù è il Maligno che cerca di ingannarla. Teresa lo smaschera e lo manda via. E' Lucifero, l’angelo bello come Dio, anzi che vuole essere più bello di Dio: troppo bello per essere bello.

Esiste una presunta bellezza troppo bella per essere bella. E' così bella, così perfetta, che giudica imperfetta la bellezza stessa. Una tradizione, come già ho accennato, mostra Lucifero, angelo perfetto e cosciente della perfezione di Dio, che non vuole accettare la creazione dell’uomo, cioè che Dio si guasti incarnandosi. Lucifero, così amante della bellezza di Dio non può accettare che Dio - puro spirito, pura bellezza - si contamini con noi, impuri, brutti, carnali, sensuali, e lo tradisce credendo di essere più fedele a Dio di Dio stesso.

Il Risorto con le stigmate dell'Abbandono

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Mi torna in mente una mia profonda esperienza di pittore. Sei anni fa, dopo ventiquattro anni passati in Belgio come responsabile del movimento dei Focolari, ero stanco e ho dovuto riposarmi. Un grande amico mi ha invitato a passare un periodo di vacanze in una cittadella del movimento in Croazia, già indipendente, ma ancora in guerra. La Mariapoli Faro era gremita di rifugiati provenienti da tutte le regioni dell'antica Yugoslavia. C'era tanta sofferenza e tanta solidarietà.

L'amico Ivan Bregant voleva farmi dipingere. Non ero nella condizione mentale favorevole, e, per via della guerra, mancava il materiale. Ho trovato un vecchio lenzuolo, sporco, strappato e qualche resto di pittura. Ho dipinto.

Un altro amico, Bostian, sorpreso del mio lavoro, pensò che dovesse esistere, da qualche parte, il secondo lenzuolo del paio. Trovato, pulito, stirato, me lo consegnò per un altro capolavoro. Era consumato, bucato, sbrindellato, da buttare. Ero desolato. Come non disilludere Bostian?

Guardavo con angoscia il relitto che si sfilacciava, e mi venne in mente Gesù Abbandonato. Anche lui era crivellato di ferite, sfinito, consumato, logoro fino alla trama, anche lui si sfilacciava. Consummatum est. Doveva essere possibile dipingere proprio su questa tela così ridotta, perché così sfilacciata e logora fino alla trama, il viso piagato, di chi è al centro di ogni mio pensiero, della mia vita, soggetto che si presenta sempre quando dipingo e quando scrivo.

Coccoloni sul vecchio lino disteso per terra, incominciai a dipingere. Era estenuante perché le poche vernici e il diluente che avevo potuto racimolare nel supermercato, vuotato dalla guerra, non si combinavano rendendo il lavoro quasi impossibile. Sudavo su questo sudario. Il viso in fuoco, le braccia stanche, le gambe indurite da crampi, vera icona del velo della Veronica che dipingevo, incurante del mio sfinimento, mi costrinsi a completare l'opera.

Senza sosta, per ore, dipinsi freneticamente il monumentale viso sanguinante, brutto, di un uomo dei dolori, un uomo fatto a brandelli, la fronte bucata da lunghe spine nere, le guance tumefatte, le spalle lacerate dalla frusta.

Ma sul finire della giornata, con stupore, mi accorsi che per la scelta dei colori che mi era stata imposta dalla penuria la tonalità generale della tela non era di lutto ma di felicità. Senza accorgermene non avevo dipinto l'Abbandonato, ma il Risorto. Due icone opposte unificate. Il Risorto, con le stigmate dell'abbandono.

Finora erano due immagini distinte, dittico contrastante. L’Abbandonato e il Risorto. Avevo dipinto - ed era la prima volta - il Risorto con le stigmate della passione e della morte.

Ero sgomento e felice.

Guardando a lungo quella pittura che avevo fatto con le mie mani, capivo l'esperienza estetica di questo secolo come un approfondimento della comprensione di cos'è realmente la bellezza, e perciò di cosa sia l'arte.

La Bellezza eterna si è fatta uomo in Gesù. Ha vissuto tutte le vicende della vita umana, le più sublimi come le più banali, le più gioiose come le più dolorose, fino all’abbandono, alla morte. Fino alla risurrezione.

A volte nell’arte contemporanea la bellezza è ridotta ad un grido inarticolato, ma così si esprime nel modo più totale. Da a noi il suo Spirito.

Sembra morta, seppellita sotto la pietra del brutto. Ma il terzo giorno la tomba è vuota. Qualcuno ci dice che è risorta e che ci aspetta.

Cammina con noi. Ci parla. Il cuore ci arde in petto. Si fa tardi. La fermiamo a cena, ma gli occhi si aprono nel momento che sparisce. La bellezza risorta non appare mai: sparisce, si nasconde nell'anonimato dell'uomo qualunque, nel banale, nel quotidiano. Il sole tramonta, lasciando posto alla luna, Maria, riflesso della bellezza risorta, sempre presente lì dove la bellezza è sparita, per guidarci a lei.

La bellezza è sulla riva del lago, irriconoscibile. Un occhio puro l'intuisce e ci apre gli occhi. Ci buttiamo nell'acqua, e la bellezza nutre la nostra mente e i nostri sensi, col pane cotto sulla pietra calda.

La bellezza salita con noi sulla montagna è elevato in alto sotto i nostri occhi e una nube la sottrae al nostro sguardo.

E poiché noi stiamo fissando il cielo mentre ella se ne va, ecco due: "Perché state a guardare il cielo? Questa Bellezza, che è stata di tra voi assunta fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete vista andare in cielo". E noi, sulle vie del mondo, ci ricordiamo le sue parole di congedo: Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente.

Gesù è la bellezza eterna incarnata, bellezza che si nasconde, fino a morire, per poi risorgere. Questo ci dice tanto della bellezza, se è così, se è come credo. Gesù risorto è uno che ha vissuto la morte, e una morte atroce, "brutta". Così la bellezza risorta che è adesso in Dio non è una bellezza facile, non è una bellezza piacevole, non è kitsch, è una bellezza molto provata, fino alla morte. Capisco il problema di Lucifero, così geloso della bellezza di Dio, quando vede la morte della bellezza, il "brutto" - se vogliamo chiamarlo così - assunti da Dio, divinizzati, in Gesù risorto.

Cosa tutto questo può significare nella pratica? Incontrare la bellezza non è facile. Certo esiste tanta presunta bellezza che fa tutto per piacerci, per adescarci. E' sempre più presente, ha riempito il mercato, è diventata un prodotto di consumo, un argomento di vendita. Non c'è mai stata così tanta bellezza in giro. Siamo subissati da tale bellezza. Una delle mie "crociate" è indirizzata contro i poster, non perché non siano belli, ma proprio perché lo sono, ma in un modo bugiardo, luciferino. La quasi bellezza è più pericolosa del brutto - come la virtù ipocrita è peggiore del vizio -, perché dissuade dal cercare faticosamente la bellezza vera.

Una videocassetta è sempre e solo riproduzione di film, non cinema. Puoi vedere tutti capolavori del cinema alla televisione e non fare mai l’esperienza del cinematografo, non sapere niente della scrittura cinematografica. Chi ama il grande cinema, chi ha visto un vero capolavoro in un museo, chi ha assistito a un concerto live, fa la differenza. Chi non sperimenta la bellezza autentica, si accontenta inconsapevolmente di un surrogato che sembra appena inferiore, ma questa differenza quasi impercettibile è la distanza tra Lucifero e Dio, l'infinito.

Martiri del bello

Rileggo la storia dell’arte e sono sconvolto da questi eroi della bellezza che rinunciano al bello conosciuto per creare nuove bellezze alle quali loro stessi quasi non osano credere. Picasso ha nascosto " Les Demoiselles d’Avignon" per quasi un anno.

Possibile che non possa esistere come per il bene, una santità - chiamiamola così - un eroismo, un profetismo del bello, come credo che esista anche per il vero?

L'angelo del bello corrisponde a questa chiamata, a quest'altra fedeltà a se stesso, trascendendosi. Prima ho citato Rublev, il pittore della famosa Trinità. Rublev è Santo per la Chiesa russa, non perché sia stato un monaco particolarmente bravo ma proprio perché ha dipinto la "Trinità". Questa "Trinità" era un’immagine nuova, rischiosissima, anche perché nella tradizione orientale era proibito rappresentare la Trinità. Il fatto che fosse stata proclamata dalla Chiesa russa "archetipica", rendeva santa l'icona e ipso facto santo il pittore.

Fra Angelico è beato, per la tradizione popolare, confermata ufficialmente dalla Chiesa. Lo è per la bellezza della sua pittura, o per la bravura della sua vita conventuale? E' incominciato in Catalogna il processo di canonizzazione di Gaudi, per altro a quanto sembra perché uomo di bene: sarebbe curioso canonizzare questo bene, mentre Gaudi è ricordato da tutti come un eccezionale uomo del bello, lui l'architetto rivoluzionario e l'insigne creatore di forme. La stessa cosa vale per l'architetto Plecnik in Slovenia, anche lui in odore di santità.

Quando c'è un quadro di Van Gogh, l'intero museo che finora era grigio, marrone, tutto d’un colpo s'illumina. Un quadro suo è come una finestra che fa entrare la luce di un sole, non quello fisico ma quello del sublime. Gli orientali dicono che le icone sono delle finestre aperte sul paradiso che mettono direttamente in contatto con le realtà del Paradiso. Se i quadri di Van Gogh sono delle icone, chi è lui?

Van Gogh è un martire del bello. Perseguiva una bellezza che per tanti anni credeva di non aver raggiunto ma che lo obbligava ad un'ascesi estetica sovrumana, sognava un'arte in comunione ed è rimasto solo e incompreso, fino alla disperazione e alla morte. Non so se si può definire un santo, ma un profeta sì!

Terra costellata

Cosa ci distingue gli uni dagli altri? Dove troviamo la nostra identità più profonda? La nostra singolarità deriva dalla ridistribuzione casuale di due quasi infiniti, i patrimoni genetici dei nostri genitori. Questo già basterebbe a renderci unici. In più Dio ci crea a sua immagine e questo introduce tre altri infiniti: il bello, il bene, il vero. Statisticamente la distribuzione deve essere omogenea, con le infinite variazioni di tre parametri che si combinano. La singolarità più singolare è quella.

Spero che ogni artista abbia la forza di andare fino in fondo a sé stesso, fino all’eroismo della bellezza, fino ad essere profeto della bellezza, e che la società riesca a riconoscere gli artisti non come dei mezzi dei o dei mostri - comunque disumani - ma come degli uomini che sono andati fino in fondo a quello che avevano dentro, a quello che era il loro vero destino, la loro vera identità. Uomini che abitano la terra perché la terra sia come il cielo, costellata di una bellezza non ingannevole, non Luciferina, la bellezza che mostra l'angelo del bello, la bellezza che s’incarna, che sparisce magari, che muore, che però dal di dentro feconda il mondo.

Michel Pochet

Opere in Mostra

 

Prima sala

"Lucifero" Lino grezzo 105x215 (2001)

"Michele" Lino grezzo 105x160 (2001)

"Uriele" Lino grezzo 105x160 (2001)

"Gabriele" Lino grezzo 105x160 (2001)

"Raffaele" Lino grezzo 105x160 (2001)

Passaggio

"Il Risorto con le stigmate della morte" Lenzuolo di canapa 170x220 (1997)

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"Teotokos" Lino grezzo 145x215 (2002)

Sala grande

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"Trinità Creazione" Lenzuolo di lino antico 260x276 (1999)

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"Gesù Bambino" Lenzuolo di lino antico 205x230 (1999)

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"Paradiso" Lenzuolo di lino antico 200x260 (1999)

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"Gesù risorto" Lenzuolo di canapa 270x200 (1999)

 

Hall

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"Senza titolo" Lino antico 215x90 (1997)

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"Maria" Lenzuolo di lino antico 200x275 (1999)

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"Gesù Abbandonato" Lenzuolo di lino antico 200x250 (1999)

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"Unitrinità" Lino grezzo 225x215 (2001)